Il bivio: inkjet o ingranditore?
Ciascuno di noi segue un proprio e personale percorso fotografico, spesso “a dente di sega” (alti molto alti, bassi molto bassi), ma comunque ben delineato. Il mio mi ha portato, nell’ultimo anno, ad allontanarmi da un “modo virtuale” di fare fotografia, cercando di perseguire una strada maggiormente “materica”, concreta.
Il primo (e fondamentale) passo di questo percorso, è stato il ritorno alla pellicola, con la progressiva dismissione (ma non abbandono) della tecnica digitale applicata allo scatto.
Adesso mi trovo nella situazione di voler/dover compiere un passo in più (sempre nella stessa direzione): avere a che fare soprattutto con le stampe cartacee. Manipolare e vedere la mia fotografia su un supporto tangibile, concreto. Vederla e farla vedere in questo stato materiale, con persone “vive” – anziché a livello virtuale e su Internet.
Il mio workflow prevede attualmente lo sviluppo dei negativi e l’acquisizione degli stessi mediante scanner (e fino a quattro mesi fa mi sembrava il massimo auspicabile!). Mi trovo quindi davanti a due strade alquanto diverse e (credo) poco sovrapponibili:
► Continuare ad acquisire i negativi, ed acquistare una buona stampante inkjet per stampare i files;
► Fare il “salto analogico” e passare in toto alla stampa chimica tradizionale, con ingranditore e sviluppo.
Non è una scelta facile e, come mio solito, sto provando a razionalizzarla.
I vantaggi della stampa inkjet
Esperienza. Ormai ho acquisito una certa padronanza nell’uso di GIMP per processare i files ottenuti con lo scanner. Crop, curve, livelli, sharpening… ho un set di procedure più o meno collaudato, e non dovrei imparare nulla da capo.
Logistica. Lo spazio necessario a questa soluzione è semplicemente quello della stampante sulla scrivania. Non è necessario allestire alcunché: niente ambiente ad hoc, niente bacinelle, niente soluzioni chimiche, niente oscurità totale.
Ripetibilità. Il processo di stampa, una volta presettato, è perfettamente ripetibile: si possono ottenere n stampe identiche. (Questo, a ben vedere, potrebbe anche NON essere un vantaggio…)
Colore. E’ possibile stampare anche il bianco e nero digitale, e (soprattutto) il colore digitale. Quest’ultimo, benché sia ormai per me meno interessante, è comunque ben presente nei miei archivi.
I vantaggi della stampa chimica tradizionale
Identità. Il processo della stampa analogica è chimico, concreto, molto più manuale: quasi come costruire, passo passo, la propria “opera d’arte”. Ogni stampa non è uguale all’altra, ogni copia dello stesso negativo è una “opera” in sé. E’ frutto delle proprie mani in modo molto più tangibile… anche se poi fa schifo!
Costi. La stampa chimica è meno costosa. Un ingranditore di ottimo livello e medio formato non costa più di 300 euro (a sparare alto), e non è soggetto ad obsolescenza (tra 10 anni sarà ugualmente valido). I chimici costano poco. Una stampante prosumer in grado di elaborare un buon bianco e nero, non costa meno di 500 euro; ed è soggetta a diventare obsoleta nel giro di qualche anno come tutti gli hardware analoghi. Poi ci sono i costi delle cartucce…
Formati. La stampa chimica mi aprirebbe le porte a formati di pellicola diversi (a cominciare dal 6×6, e dalla Rolleiflex 2.8 del papà che langue sulla mia scansia) perché lo scanner attualmente in mio possesso accetta solo il 35mm, quindi dovrei spendere altri soldi per dotarmi di una macchina che possa acquisire formati più grandi con una qualità da stampa.
Intimità. Quella della camera oscura è (a detta di molti) anche un’esperienza umana… di intimità: ci si isola, e si ritaglia tempo per sé, per la propria passione – senza distrazioni o contaminazioni dal mondo esterno. Non è un aspetto da sottovalutare.
Difficile uscirne!
La lista dei “pro” e dei “contro” non mi fa preferire nettamente una tecnica rispetto all’altra. A priori, esistono sempre delle esclusioni poco accettabili. E si sa: ogni scelta è una rinuncia… quindi credo che i consuntivi si possano fare solo dopo.
Certo, la qualità del prodotto finito (stampa inkjet o stampa chimica) può essere una buona discriminante. Ma qui si entra in un ambito dove ciascuno dice la sua e non credo esista una attestazione oggettiva del fatto che un supporto sia “più bello e migliore” dell’altro. Per questo non ne ho fatto cenni, nelle liste precedenti.
Forse questa scelta andrebbe valutata sulla base di due aspetti che in parte prescindono dalle liste sopra citate e sono molto più personali:
► Quello che sento “con la pancia”, e cioè con l’istinto;
► Un’idea su dove mi porta il mio percorso fotografico. Cosa scatterò, in futuro? Che tipo di esigenze avrò? Saranno vincolanti e stringenti?
Scelta difficile… come tutte le scelte personali, del resto.
ciao!
bellissimo questo elogio per l’analogico!
io ho24 anni e da un paio scatto in digitale con una bella canon 5d.
da unpaio di mesi invece mi sto appassionando alle medio formato e nello specifico alle biottiche! come te hai una rollei io sto per prendere una yashica! (papà ha una pentacon ma non mi piace).
sono ad un bivio anche io!
scanner digitale o ingranditore??
tu che hai scelto?
a me piace ingrandire sui 50×70 cm e volevo chiederti se tu facevi queste stampe e se la qualità di dava soddisfazioni!
(apparte la bellezza e la splendida “l’intimità” )
un saluto Giulio!
Ciao Giulio! Grazie per il “bellissimo”! 😉
Mi sto indirizzando verso la stampa chimica, e infatti sono impegnato nella creazione di una vera camera oscura in casa. Alla fine mi sono fatto guidare dalle domande che io stesso mi sono posto in fondo all’articolo… e dal fatto che, in definitiva, ho ritenuto i “vantaggi della stampa chimica” superiori (per me).
Stampe 50×70 non ne ho mai fatte: quando “giocavo” in C.O. (adolescente) non credo d’esser mai andato più in là del 20×30. Ma stavolta, ovviamente, non mi pongo limiti! 😉
Il mio commento arriva in ritardo, ma comunque vorrei segnalare che esiste una terza soluzione (anche se molto più costosa): la stampa termica.
Esistono stampanti termiche in bianco e nero, in grado di riprodurre le immagini su pellicola di plastica: queste pellicole devono poi essere guardate con un diafanoscopio (quindi, una soluzione piuttosto scomoda), ma offrono una ricchezza di sfumature ed una risoluzione inarrivabili con qualunque altra tecnica di stampa digitale. Tale tecnica viene usata in ambito medico, per la stampa di immagini diagnostiche (tac e risonanza magnetica)… probabilmente però i costi di gestione sono troppo alti per un utente privato.
Per quanto riguarda la fotografia nel formato 6×6… si potrebbe addirittura fare a meno dell’ingranditore, e stampare per contatto. Oppure, potresti provare formati meno diffusi, come il 6×9 o addirittura il 6×12 (una stampa per contatto in questi formati è ancora piccola, ma comincia già ad avere dimensioni decenti). Sopra il 6×9 c’è praticamente solo il grande formato, ma il 6×9 si può fare anche con una macchina folding tascabile, e quindi è il massimo a cui si può arrivare se non si vuole girare con la valigia.
Dimenticavo: per chi volesse usare il 6×6 e digitalizzare i negativi, una soluzione è lo scanner ROLLEI DF-S 390 HD Pro (se hai una rolleiflex saprai già che la marca è una garanzia, per il medio formato).
I risultati sono molto soddisfacenti: non solo ho ottenuto ottimi immagini con le mie vecchie diapositive a colori, ma ho anche recuperato delle negative in bianco e nero con splendidi risultati.
Io non so sviluppare i negativi, e mi sono limitato a scansionare i vecchi negativi di medio formato che avevo in soffitta… ma anche per chi lavora in analogico i negativi e poi digitalizza consiglierei di passare al medio formato: la scansione da un originale più grande permette di ottenere immagini di ottima qualità anche in ambito domestico, con uno scanner relativamente poco costoso. Dubito che si riesca ad ottenere scansioni così belle con negativi di piccolo formato (per lo meno, l’apparecchio in questione permette la scansione anche del piccolo formato, e la differenza di qualità sulle immagini finali ottenute è notevole)