Appunti dalla retrospettiva di Edward Weston

On 14/11/2012 by Nicola Focci

Di recente sono stato alla retrospettiva che Fondazione Fotografia ha dedicato a Edward Weston, visitabile sino al 9 Dicembre.

Inutile dire che sono rimasto rapito dalla grandezza di questo artista: una personalità fortissima, che ben emerge dai suoi scatti.

Ho seguito una visita guidata (consigliatissima) e più sotto riporto par pari gli appunti che ho preso, gli aspetti che mi hanno colpito.

Unico neo, ma indipendente dall’organizzazione: un gruppetto di personaggi con Leica al collo, che – anziché starsene in religioso silenzio ad ammirare gli scatti di Weston – discuteva rumorosamente di obiettivi luminosi ed altre feticistiche amenità. Che tristezza.

Ecco comunque i miei appunti.


Stampava a contatto. Niente “magie” in camera oscura: la foto deve essere perfetta al momento dello scatto.

Stampare annoia Weston: trova che sia una seccatura, pure costosa. Era un punto di attrito tra lui e l’amico Ansel Adams.


Niente foto rubate, ma volute, incontrate.

Nei ritratti doveva avere un pieno controllo e una piena sintonia col soggetto (no HCB!)


Parkinson: condanna terribile per un fotografo preciso come lui.

Per questo non scattò più dopo aver scoperto la malattia. Si limitò a supervisionare suo figlio che stampava i suoi negativi.


Il lavoro col banco ottico: <<Oggi ho scattato 18 fotografie, che gran fatica!>>.

Tutt’altra cosa col digitale…


Foto del tagliauova: astrarre l’oggetto dalla sua funzione dando un significato aggiuntivo e/o diverso (radici=braccia e gambe).

Diventano astrazioni universali.


<<Il mercato degli ortaggi è una fonte di ispirazione inesauribile per me>>. (Aggiungo io: doveva avere una visione precisa e affilatissima di quanto sarebbe poi emerso sul negativo)


Stesso approccio per cose, corpi, scheletri.

Non cambiava, tra corpi vivi e cose inanimate.


Realismo che ci fa arrivare all’astrazione.


Il suo mondo è distaccato. Non si occupa di denuncia sociale o politica. Vive in paesi tumultuosi e critici, come il Messico degli anni ’30… ma non se ne cura. Niente Madre Migrante!

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