OpenPhoto: uscita con Simone Martinetto

On 20/06/2013 by Nicola Focci

Il programma del laboratorio OpenPhoto 2013 presso l’associazione Piccolo Formato (qui i post precedenti) prevedeva un’uscita “sul campo” col fotografo Simone Martinetto.

Il nostro gruppo si è quindi riunito nel posto scelto da Simone (zona residenziale nella periferia sud-est di Bologna), un Sabato mattina di sole e temperatura gradevole.

L’esperienza è stata altrettanto gradevole, e soprattutto istruttiva. A volte è davvero necessario fermare un attimo il dito indice, e prendersi un po’ di tempo per entrare in un clima “fotograficamente zen”…

Dopo una prima chiacchierata su temi fotografici ad ampio spettro, Simone ci ha proposto due esercizi.

Osservare

Il primo è un esercizio di osservazione senza fotocamera: si sceglie un piccolo ritaglio di realtà, lo si fissa per alcuni minuti, e poi lo si disegna – cercando di ricordare tutti i dettagli e le cose che hanno colpito l’occhio.

Io avevo scelto una finestra, con inferriata e tapparella abbassata, che quindi formava un gioco di geometrie e luci/ombre (il sole vi batteva sopra) abbastanza interessante. Io rimango sempre rapito e colpito dalle geometrie… c’è poco da fare! Il difficile è venuto dopo, quando ho dovuto disegnarla (sono completamente inetto al disegno), e razionalizzare su carta tutti quegli elementi che avevano colpito il mio sguardo.

La morale di questo esercizio è importante: abituarsi ad osservare prima di scattare. Anzi: abituarsi ad osservare sempre!

Storytelling

Il secondo esercizio era invece più prettamente fotografico. Simone ha identificato un’ampia zona circostante dove eravamo liberi di “svariare”, comprendente sia aree verdi che residenziali; e ci ha chiesto di costruire lì uno storytelling fotografico con questi vincoli:

  • Pochi scatti: minimo 3 e massimo 6.
  • Completa libertà sul tema e sulle scelte stilistiche, ma l’importante era che fosse presente un filo conduttore, e che ci sforzassimo di lavorare sulla sequenza.
  • Niente didascalie o testi lunghi a corredo.

Io sono stato subito attratto dai garage sotterranei, che, come sempre succede, rappresentano “un mondo a parte” rispetto alle zone residenziali della superficie (niente verde, finiture all’osso, pragmatismo all’estremo, e ovviamente un certo senso di chiusura e disagio).

Dunque mi sono recato lì sotto con la mia Rolleiflex.

Simone ci aveva dato 45 minuti di tempo… ma c’era da lavorare sodo: poca luce, e contrasti difficili da gestire per il “grigiore” del cemento e le “lame” di luce dall’esterno. Inoltre, e stoltamente, non avevo con me un treppiede! La biottica ha di bello che si appoggia quasi ovunque; ma in un garage di “strapuntini” ce ne sono molto pochi…

Come solito quando non posso programmarmi per tempo, ho lasciato che fosse l’istinto a portarmi dove voleva. Ho cercato di “vagabondare” in quel mondo sotterraneo, senza pregiudizi, concedendo il massimo spazio al mio Io.

Una volta stampate le foto e selezionati gli scatti (cinque in totale), ho dato a questo progetto il titolo “Scendendo al buio, cercando la luce”.

Scendendo al buio, cercando la luce:

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(Scansione da stampe ai sali d’argento su carta politenata)

La mia interpretazione

E’ avvenuta soprattutto ex post, analizzando che cosa l’istinto mi aveva portato a fotografare, e cercando soprattutto di capire il perché.

Questo garage per me ha rappresentato una sorta di archetipo. Quindi, come spesso mi succede, io utilizzo il luogo in cui mi trovo per interpretare un sentimento personale, e quasi stravolgere il luogo stesso.

“Scendere al buio” perché spesso il buio è rassicurante. Intendo dire che, in generale, isolarsi è rassicurante. Perdere il contatto con la realtà significa anche smettere di vederla… e, apparentemente, di subirla. Non è quindi una scelta tanto inusuale. Ci siamo passati tutti, prima o poi… chi più, chi meno… nel poco, o nel tanto.

Poi però, una volta che ci si è tagliati fuori dalla realtà, è quasi inevitabile tornare a cercarla. L’illusione di vivere “bene” essendo avulsi dal mondo reale, isolandosi, non dura molto.  “Cercare la luce” è quindi un processo che non si può fermare, fa parte della nostra natura… a meno di non giungere a una conclusione autodistruttiva.

Mi sono dunque ritrovato, in quel garage, a cercare insistentemente la luce. E’ più che una nostalgia: è un “tendere verso”.

Follow up

Un paio di settimane dopo l’uscita, ci siamo ritrovati tutti insieme nella sede di Piccolo Formato per visionare e commentare le sequenze.

4

4

Devo dire che la mia è globalmente piaciuta! I commenti sono stati perlopiù positivi e questo mi ha ovviamente gratificato.

Nella discussione è però emerso che lo scatto numero 4 si distacca dalla serie e poteva quindi essere stralciato.

Secondo il docente, la fotografia è sicuramente riuscita, ma incoerente con le altre perché è diverso il punto di ripresa, è presente la sfocatura, e la ricerca della luce non è così evidente.

Mi sento di concordare con lui: andrebbe stralciata.

Probabilmente mi sono “fatto fregare” dall’amore per questo scatto, che mi piace parecchio e trovo sia abbastanza ben riuscito. Poi, se vogliamo, ci ha messo del suo anche il famigerato “Effetto Ikea”

Tutto sommato la resa di questa micro-serie mi ha soddisfatto, tanto da meritarne l’inserimento nel book di miei progetti (link nel menù principale del sito).

Consuntivo

Nel complesso, e riassumendo: si è trattata di una bella esperienza con un validissimo docente. La consiglierei sicuramente.

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