La mia camera oscura

On 30/09/2013 by Nicola Focci

A circa un anno di distanza riprendo in mano questo post dove descrivevo la mia “Batcaverna analogica”, aggiornandolo ed approfondendolo. Magari le mie esperienze (ed i miei settaggi) possono essere d’aiuto per chi si accinge a realizzarne una.

Anzitutto, la location: ho scelto un piccolo bagno che non usavamo ed era quindi a mia disposizione. Questo è un “disegnaccio non in scala” del locale, con le misure in centimetri:

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In giallo ed arancione è un mobile, in verde è un tavolo; i sanitari rimangono sotto al tavolo, mentre il lavandino è tra il tavolo e la porta (in blu).

Le dimensioni non erano abnormi ma sono riuscito comunque  a sfruttarle. Soprattutto, però, la disposizione mi consente di lavorare sempre in posizione seduta.

Questa è grossomodo la vista dalla porta di ingresso:

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Qui si nota:

  • La luce da 25 watt che uso quando non è necessario lavorare con quella rossa di sicurezza. (Il neon del bagno è troppo potente per una corretta valutazione delle stampe bagnate).
  • L’interruttore della luce da 25 watt, montato su un braccio mobile recuperato da una lampada da lavoro.
  • L’ingranditore, pilotato da un timer che qui non è visibile (lo è nella terza foto).
  • Un metronomo elettronico, che uso – settato a 60 battiti al minuto – per mascherature/bruciature.
  • La luce LED (di un noto fabbricante svedese), puntiforme e radente, utilissima per esaminare il negativo prima di inserirlo nell’ingranditore e controllare la rimozione della polvere.
  • La bacinella dello sviluppo, collocata su una sorta di “dondolo” in legno che mi facilita l’agitazione. Quest’ultimo è un regalo del mio amico Fabio, e funziona alla grande.
  • Un termometro/igrometro, che mi informa sulle condizioni “climatiche” della mia camera oscura.

La seconda vista è invece dalla parete di fondo, a ridosso dell’ingranditore:

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Qui si nota:

  • Il lavandino, dentro al quale è la bacinella per l’arresto (che faccio con semplice acqua) e il lavaggio (che effettuo lasciando scorrere l’acqua dal rubinetto).
  • La bacinella del fissaggio, collocata su una mensola sopra al lavandino.
  • Il già citato interuttore della luce da 25W. Grazie al braccio estensibile, riesco ad azionarlo dalla “postazione di lavaggio” senza dovermi alzare.

Questa infine è la parete opposta a quella “di lavoro”, a destra subito appena entrati:

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Qui si nota:

  • Il timer che comanda l’ingranditore, collocato su un carrello separato dal tavolo di lavoro onde evitare vibrazioni indesiderate.
  • Lo stendino, che utilizzo per appendere sia i negativi sia provini e le stampe.
  • La fondamentale lavagna di sughero, dove attacco le tabelle di lavoro ed i fogli di registrazione dati (ad esempio la Scheda Sviluppo Negativi).

Come scrivevo ad inizio articolo, questa disposizione mi permette di lavorare da destra verso sinistra rimanendo a sedere, ed alzandomi solo quando la stampa va messa ad asciugare.

Una camera oscura priva di difetti, quindi? Assolutamente no! In particolare:

  • Ricambio d’aria. Benché io abbia previsto un rudimentale sistema di aspirazione (ne parlo nel primo articolo), la sua efficacia è molto relativa. Fortunatamente, la stampa dopo 30″ di immersione nel Rapid Fixer non è più sensibile alla luce… e si può aprire la porta per far entrare un po’ d’aria.
  • Poco spazio di stoccaggio. A parte i recipienti collocati sullo scolapiatti, non so letteralmente dove mettere il “vasellame” residuo ed i flaconi di prodotti chimici! Per il momento, mi arrangio come posso.
  • Sviluppo troppo vicino all’ingranditore. Le corrette prassi di camera oscura vorrebbero una separazione fisica piuttosto netta tra la “zona asciutta” e la “zona bagnata”.  Nel mio caso questo è impossibile, stante le dimensioni dell’ambiente e la disposizione del tavolo e del calorifero; devo quindi stare attento a non bagnare la “zona asciutta” con gocce volanti di sviluppo.

Un domani, forse, avrò una “camera oscura 2.0” nella quale risolvere anche questi piccoli difetti. Al momento, però, mi accontento decisamente!

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