Il (falso?) mito della qualità

On 04/10/2013 by Nicola Focci

Valencia, La Malvarrosa, Giugno 2012

Siamo (o siamo stati) tutti affetti da “sindrome da acquisto compulsivo”, meglio nota come GAS (“Gear Acquisition Syndrome”).

Ebbene: l’aspetto che più turba le notti insonni di chi è affetto da GAS, è sicuramente la qualità.

Nikon è un prodotto di qualità mentre Pentax no. Leica è di qualità superiore a Fujifilm. Nessuno batte la qualità delle ottiche Zeiss. I Canon “serie L” hanno la vera qualità. Eccetera eccetera… potrei andare avanti per l’intero articolo. Di discussioni analoghe son pieni i forum fotografici di tutta la rete.

In teoria non è nemmeno necessario essere degli esperti: alcuni assunti sono così scontati da apparire banali. Che ad esempio una Hasselblad sia di qualità mostruosamente superiore a una Holga, è cosa ovvia, no?

Ehm… in realtà non è così semplice. E per dire la mia, parto da monte (anziché da valle) ossia dal concetto di qualità.

Definiamo la qualità

Non è poi così banale a definirsi, la qualità.

Una risposta secca potrebbe essere: “Beh, non saprei proprio come definirla… ma so di certo che la riconosco se la vedo!”.

Non è però molto soddisfacente, vero?

Allora proviamo così:Se il prodotto ci soddisfa, allora lo giudichiamo come essere un qualcosa di qualità. Se non siamo soddisfatti, ci lamentiamo della mancanza di qualità”.

Direi che così ci siamo… e rispecchia anche la definizione di “qualità” che viene data in ambito industriale (le norme della serie ISO9000 per chi la conosce e per chi non la conosce):

Grado in cui un insieme di caratteristiche intrinseche soddisfa i requisiti. (ISO 9000, par. 3.1.1)

La definizione di requisito essendo:

Esigenza o aspettativa che può essere espressa, generalmente implicita o cogente. (ISO9000, par. 3.1.2)

Il concetto è quindi che la qualità è relativa, non è assoluta. Cioè dipende dal soddisfacimento delle esigenze o aspettative di colui che ne deve beneficiare.

Dimenticare o ignorare questo concetto, porta ad autentici disastri. Tanto per restare in tema fotografico, Seth Godin fa giustamente notare che Kodak e Polaroid incapparono proprio in questo errore, snobbando la nascente tecnologia digitale: a un certo punto i clienti non volevano più maneggiare stampe di fattura “museale”, ma condividere le proprie foto in modo rapido ed economico.

Insomma: come diceva un grande “guru” di questi argomenti (Joseph M. Juran),

La qualità è l’adeguatezza all’uso.

Ecco quindi che la famigerata macchinetta in plastica cinese può anche essere “di qualità superiore” alla ben più costosa e perfetta svedesona con lenti Zeiss, se è ciò che serve al fotografo per ottenere quanto che si prefigge.

Facciamo un esempio concreto: Daido Moriyama.

E’ noto che lui faccia uso di compattine Ricoh non particolarmente prestigiose/costose.

La domanda è: il suo stile (a sua volta mutuato dalle sue esigenze e aspettative) avrebbe un giovamento dall’uso di una Hasselblad? O forse il fatto che quest’ultima sia più lenta e ingombrante, non ne fa lo strumento ideale per il suo tipo di fotografia? E la sgranatura che tanto contribuisce alla resa dei suoi scatti, sarebbe ugualmente presente su una pellicola di medio formato?

Lo stesso discorso potrebbe valere per Ansel Adams o Mitch Epstein, fotografi che usavano il banco ottico e probabilmente non si sarebbero trovati ugualmente bene con una fotocamera 35mm, fosse anche una Leica. Ma questo perché il loro stile fotografico e la natura dei loro soggetti e la resa artistica che volevano dare a questi ultimi, non si sarebbe conciliata bene con quel tipo di strumento.

Insomma, spesso i grandi maestri sono anche identificati col tipo di apparecchio che usavano (Cartier-Bresson e Berengo Gardin sono “uomini Leica”) ma questo fondamentalmente perché era il migliore per le loro esigenze, e vi rimasero poi fedeli nel tempo. 

Sfatiamo questo mito che la qualità è proporzionale al costo! Leggete cosa scrive il grande Mario Giacomelli circa la sua attrezzatura, in questa intervista: è davvero illuminante.

Dunque conta solo il “manico”?

Attenzione però che l’aspetto soggettivo della qualità vale anche nel verso opposto.

Se cioè non è vero che sia necessario dotarsi di attrezzatura costosa e prestigiosa per fare le fotografie che vogliamo noi, è altrettanto vero che talvolta – per determinate esigenze – non c’è molta scelta.

A volte, “gear does matter“, eccome.

Se il mio stile fotografico richiede uno sfocato di qualità, gradevole e non secco, ecco che mi saranno necessari obiettivi in grado di darmi queste caratteristiche intrinseche. Che poi questi obiettivi siano mediamente molto costosi, è un fatto incidentale.

Se al contrario io – per la tipologia dei miei soggetti e la luce presente e lo stile – scatto perlopiù a f/8, sprecherei probabilmente i miei soldi acquistando un Noctilux.

Resta insomma un fatto soggettivo – come detto inizialmente.

La morale della favola

Siamo vittime della “sindrome da acquisto compulsivo”, anche perché non valutiamo l’attrezzatura secondo la logica da applicare, cioè quella legata alle nostre esigenze. Non quelle di un grande maestro che non sono (né mai sarò) io; ma quelle che mi sono proprie, per il tipo di fotografia che voglio fare, per ciò che voglio esprimere, per come lo voglio esprimere.

Come procedere, dunque?

  • Dapprima bisogna capire che tipo di fotografia vogliamo o vorremmo fare. Ritratti? Paesaggi? Fotografia naturalistica? Still life? Street photoghraphy?Fotografia di interni? Fotografia di architettura? Le possibilità sono molte, ed è normale che ciascuno abbia le sue preferenze: a me, per esempio, ritratti e macrofotografia non interessano per nulla! (Almeno in questo momento).
  • Una volta identificata la “propria nicchia”, conviene sicuramente studiare i maestri che l’hanno fatta grande, e, a quel punto, anche approfondire che tipo di apparecchi usavano. Ad esempio basta guardare qualche video in rete dove questo o quel fotografo è colto “in azione” (ce n’è uno su Daido Moriyama al link precedente) per capire non solo quale apparecchio usa, ma anche come, e soprattutto perché.

Compiere l’operazione opposta, cioè acquistare un apparecchio perché vittime della famosa GAS e poi cercare di “adattarlo” alla nostra “nicchia”, porta spesso ed inevitabilmente a fargli prendere polvere su uno scaffale (o a rivenderlo).

Poi, per carità, si può fare di tutto. Anche la street photography con una Mamiya RB67!

Ma non dimentichiamoci che l’attrezzatura è, fondamentalmente, un mezzo destinato ad un fine (o a un requisito).

2 Responses to “Il (falso?) mito della qualità”

  • Sono daccordo con quanto scrivi. E lo dico dal pulpito di uno che comprava obiettivi Canon serie L perchè sono piú nitidi ai bordi a piena apertura, e che ha lasciato la Rollei 6008 perchè scansionare i negativi per stamparli era troppo lungo per il tempo che riesco dedicare alla fotografia, e ora scatta con una Fuji X perchè la Canon pesa troppo.
    Però guarda che esiste una moda – non ancora sindrome riconosciuta – per la quale il fotografo insegue la bassa qualitá come una bandiera, si compiace di foto casuali nel loro risultato tecnico ed estetico. edi certi usi delle pellicole Impossible, o delle Lubitel. È solo un rovesciamento, e soffre di tutti i limiti della GAS.

    • Sai, Sandro, su quel “pulpito” ci siamo saliti tutti! 😉 Io per primo. Alla fine anche io, per le foto digitali, uso più la mia Fuji X10 che non la DSLR. Poi vabbé, io sono attratto dal grande formato perché penso che le sue potenzialità (basculaggi e decentramenti) potrebbero aprirmi un “mondo artistico” sconosciuto, e in quel caso tornerei a caricarmi come un mulo… ma per ora sono contento così.
      Hai perfettamente ragione circa la “moda inversa” della lomografia! Tra l’altro si diffonde anche nel digitale, coi filtri di Instagram che replicano vignettature, crossprocessing, light leaks, e chi più ne ha più ne metta. Giustissima osservazione, la tua… della quale ti ringrazio!