L’insegnamento della fotografia analogica

On 25/11/2013 by Nicola Focci

Qualche tempo fa ho scritto un tweet che, mi rendo conto, pareva alimentare la solita diatriba tecnica tra digitale ed analogico:

Tweet

Il mio intento non era in realtà quello (difficile spiegarlo in 140 caratteri), né era minimizzare gli interventi che si potevano fare in camera oscura: giustamente mi è stato fatto notare che anche lì si compivano autentici miracoli, e ringrazio Paolo Lambertini per il link.

Vero, verissimo. Ma il punto non è questo.

Il discorso è in effetti troppo articolato per un semplice tweet, quindi cercherò di spiegarlo in questo post.

Fermiamoci un secondo a pensare ai vantaggi portati dalla tecnologia digitale. A me sembra che essa abbia reso disponibili i risultati delle tecnologie di ieri, con due innegabili atout:

  1. Velocità
  2. Ripetibilità

Ad esempio, e sempre premesso che saper usare Photoshop e simili non è banale, si fa sicuramente prima ad effettuare una mascheratura al computer che non in camera oscura con sagome di cartone e metronomo. Questo vale anche per il ritocco, il ritaglio, e quant’altro.

Inoltre – e credo sia un vantaggio decisivo – il computer permette sempre di tornare indietro sui propri passi. In camera oscura, invece, non esiste un “comando annulla”: fatta l’operazione, l’unico modo per ripeterla è stampare di nuovo la fotografia.

Ma presto e bene non vanno insieme

Noi esseri umani abbiamo la singolare caratteristica di pensare che una fase di processo veloce e ripetibile sia anche di per sé efficace.

Un po’ come quando si cercava qualcosa in biblioteca – perdendoci un sacco di tempo – e oggi basta andare su Wikipedia con un clic: ci fidiamo di quello che leggiamo sulla pagina web, e lo prendiamo per buono, perché è stato così facile e veloce trovarlo. Ed è altrettanto facile ripetere la ricerca.

Qui sta la trappola del digitale, secondo me. Subentra la sensazione che la fase di scatto infondo sia meno importante perché quella di post produzione è talmente veloce e ripetibile, da essere anche necessariamente efficace.

Diventa più utile scattare e basta, che scattare bene. Tanto, ci si pensa dopo al PC –

E’ una falsa sicurezza. La verità dei fatti è che le pessime idee restano tali, per quanto le si cerchi di sistemare. Come diceva il sommo Ansel Adams:

Non c’è niente di peggio che una fotografia nitida di un’idea sfuocata.

E “più la rimescoli e più puzza”, per usare un brutale eufemismo.

Insegnamenti pedagogicici della fotografia analogica

Quando invece si deve passare molto tempo in camera oscura per dare vita alla nostra creazione, ci si pensa due volte prima di scattare.

Stessa cosa per il tempo necessario a sviluppare il rullino. Il tempo, si sa, è denaro; e quindi ci si chiede: sto per fare la fotografia; ma ne vale davvero la pena?

Qui risiede, a mio parere, la superiorità della fotografia analogica rispetto a quella digitale. Non si tratta di una superiorità tecnica; ma, se vogliamo, pedagogica: si impara a fare le cose bene sin dall’inizio. E questo è, sempre a mio modo di vedere, un fatto incontestabile – se parliamo di un principiante che si avvicina al mondo della fotografia non avendo già un solido background visuale alle spalle.

Ho scritto “visuale”, e non “tecnico”. Perché la tecnica è un mezzo, non un fine. Esistono grandi maestri (in questo senso amo spesso citare Daido Moriyama) che fanno fotografie splendide, con abilità tecniche che di per sé non richiedono chissà quali competenze.

Naturalmente questo insegnamento del “fare le cose bene subito” si può imparare anche da digitalisti nati, attraverso altri accadimenti nel proprio percorso artistico, come ad esempio un buon workshop.

 

One Response to “L’insegnamento della fotografia analogica”

  • E si, mi sembra proprio che nelle parole di un grande come Ansel Adams risieda il dramma della Fotografia, certo la fotografia anslogica poneva più barriere al proliferare di idee sfocate di quante oggi non ne ponga la Fotografia digitale, ma se le idee sono sfocate lo rimarranno al di là del mezzo utilizzato.