La fotocamera è come una polo Lacoste!

On 08/08/2014 by Nicola Focci
René Lacoste (1904-1996)

René Lacoste (1904-1996)

PRECISAZIONE: Questo articolo non intende fare pubblicità alla nota casa d’abiti francese, cui non sono in alcun modo legato!

Il titolo dell’articolo non tragga in inganno: qui non si parla di moda! Anzi.

Mi spiego con una premessa personale: la polo è il mio capo d’abbigliamento estivo preferito. E la Lacoste è in assoluto la mia polo preferita: ho provato diverse marche, ma non c’è lotta.

E’ stato amore immediato, tanti anni fa… perché l’ho sentita da subito calzare come un guanto. Cambiavano i colori, ma è rimasta sempre così: perfetta. A prescindere dalle mode.

Magari fosse lo stesso per tutti gli oggetti quotidiani che acquistiamo!

Parlando proprio di “idoneità”, è interessante sapere com’è nato questo iconico capo di vestiario col coccodrillo.

Un po’ (ma poca) di storia

Prima che imprenditore, René Lacoste fu campione di tennis: vinse due volte Wimbledon, tre volte il Roland Garros, e due volte gli US Open.

Insoddisfatto del’abbigliamento in uso sui campi dell’epoca, ne progettò uno da sé, che indossò per la prima volta nel 1926 agli US Open (ovviamente vinti).

L’intento di Lacoste fu quello di unire la praticità della t-shirt, all’eleganza della camicia; e fu un immediato successo.

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Il famigerato logo del coccodrillo deriva da una scommessa che egli fece col capitano della squadra francese di coppa Davis, il quale gli promise una borsa di coccodrillo se avesse vinto entrambi i suoi incontri di singolo. Naturalmente, Lacoste vinse scommessa e borsa; e da allora fu per tutti “le crocodile”.

L’utilizzo dell’animale come logo fu un’altra idea geniale di Lacoste, e pare sia stato il primo caso del genere, cioè di logo che caratterizza un capo diventato poi di moda.

Oltre che della Polo, René Lacoste fu anche l’inventore della racchetta in metallo (poi marcata Wilson e portata al successo da Jimmy Connors) e della macchina lancia- palline.

Questione di moda?

E’ indiscutibile che a partire dagli anni ’50 questo capo di abbigliamento sia diventato un oggetto di moda.

Ma era nato con ben altre finalità!

Quando Lacoste inventò la polo, infatti, il tennis stava diventando uno sport estremamente popolare, uscendo dalla “nicchia elitaria” in cui era sostanzialmente rimasto per decenni. Il gioco si faceva sempre più competitivo; e gli ammenicoli modaioli dell’epoca (maniche lunghe, colletti abbottonati, cravatte…) cominciavano a diventare un ostacolo. Occorreva mettere in secondo piano lo stile, adottando un abbigliamento resistente, funzionale, ma anche di pregio.

Aspetti che sono rimasti immutati sino ad oggi.

Resistenza

Nessuno vuole capi di abbigliamento che perdono colore rapidamente dopo i primi lavaggi, e in questo la polo Lacoste eccelle, perché la tinta è molto resistente. Rimane sgargiante anche dopo anni ed anni.

Le cuciture sono realizzate nell’ottica dell’eccellenza, e quelle superiori sono anche rinforzate da una fettuccia interna.

A sinistra, coccodrillo; a destra, cavallo con giocatore di polo…

 

Funzionalità

Per la sua creazione, Lacoste scelse il cotone piqué: un particolare tipo di trama trapuntata, che conferisce al capo morbidità e freschezza – perfetta per lo sport.

Il colletto può essere alzato per proteggere il collo dal sole (stendo un velo pietoso sul pessimo uso odierno di portarlo così tutto il tempo!).

Anche gli spacchetti a “V” inferiori avevano un scopo: evitare che la maglia uscisse dai pantaloni o pantalocini di chi la indossava.

Pregio

Come riconoscere una vera Lacoste da una falsa Lacoste? Semplice: mordendo i bottoni. Quelli delle vere Lacoste, infatti, sono in madreperla*, non comune plastica; mordendoli leggermente, si riconoscono subito.

Anche la qualità del cotone è ottima: morbido ma robusto, al tatto si identifica subito.

Dove voglio andare a parare?

Probabilmente si sarà capito! 🙂

La scelta della fotocamera, come di qualsiasi altro strumento e “mezzo per un fine”, è sicuramente importante. Ma dovremmo sempre ragionare coi criteri di René Lacoste.

Lasciar perdere la moda – o quello che usano gli altri – e puntare a ciò che realmente serve a noi.

La famosa fotografia di Eric Clapton alle prese con la Leica tappata...

La famosa sequenza di Eric Clapton alle prese con la Leica ‘tappata’…

Immaginiamo di dover scegliere un capo di abbigliamento per un viaggio, e non una macchina fotografica!

Facciamo un elenco degli aspetti necessari,un po’ come probabilmente fece Lacoste… e poi ragioniamo in base a quelli.

Ossia:

  • Lasciamo perdere le lusinghe del mercato. I costruttori hanno tutto l’interesse a convincerci che l’ultimissimo modello di ottica Ciofegon 20-500 f/16-22 è proprio quello che fa per noi; ma in realtà se ne fregano bellamente, di quello che fa per noi.
  • Cerchiamo anche di non farci irretire dai test sulle riviste o in rete. Per carità: leggiamoli! Ma riconduciamoli sempre alle nostre esigenze. Esempio: se non amo particolarmente il mirino (ad esempio perché porto gli occhiali), è del tutto inutile farsi “fregare” dalla risoluzione e latenza di un EVF.
  • Quando leggiamo che questo o quel maestro usa(va)no questa o quella macchina, cerchiamo per prima cosa di capire come mai – anziché buttarci ad acquistarla. Scopriremo che difficilmente è una questione di moda, ma è sempre di funzionalità. Garry Winogrand usava la Leica M perché gli permetteva di essere veloce, Diane Arbus la biottica perché tranquillizzava i soggetti, Ansel Adams il banco ottico perché gli dava un controllo estremo sulla singola lastra, e così via.
  • Evitiamo di chiedere un conforto sui forum. Diciamolo sinceramente: quando lo facciamo, stiamo solo cercando qualcuno che dia ragione alle nostre infatuazioni consumistiche!! Quanto ai consigli, nessun “guru” potrà mai calarsi nelle nostre stesse ed identiche scarpe. Noi, e solo noi, possiamo prendere la decisione giusta.

René Lacoste direbbe: la fotocamera è solo un mezzo per un fine!

* Leggo su Wikipedia che oggi si usa un materiale sintetico chiamato Pearloid, perché il commercio di madreperla è stato vietato.

 

2 Responses to “La fotocamera è come una polo Lacoste!”

  • Una volta a Don McCullin chiesero: “Cosa serve per fare buone foto?” e lui molto seraficamente rispose: ” f/8 and be there”, vale a dire “f/8 ed esserci”! Cioè è inutile pensare alla macchina migliore e all’obiettivo più performante: la foto, mi spiace dirlo ai molti che subito chiedono che macchina si utilizza, non la fa ne la macchina ne l’obiettivo ma la nostra testa. E per un fotografo la macchina è prima di tutto questione di feeling.

    • Approvo e sottoscrivo, ovviamente! 😉
      Io sono convinto che il mondo della fotografia debba recuperare un po’ di “artisticità”, e lasciare da parte un po’ di “tecnicismo”.
      Credo che il nostro dovere di bloggers sia quello di insistervi sopra, nel nostro piccolo, e per quanto possiamo.