Il microstock non fa per me

On 01/09/2014 by Nicola Focci

PRECISAZIONE: l’intento di questo post non è “denigrare” il mondo del microstock. La fotografia ha tantissime sfaccettature, questa è una, e non ne esistono di “migliori in assoluto”.

Intendo solo raccontare la mia esperienza e approfondire il perché non abbia funzionato per me: tutto qui.

Per chi non lo sapesse, l’agenzia di microstock è una società che mette a disposizione in rete una banca dati d’immagini a prezzi modici. Le principali sono: Shutterstock, iStockPhoto, Fotolia, 123RF… ma ve ne sono parecchie.

Per saperne di più, “Fotoguadagnare” è un buonissimo punto di partenza (o perlomeno mi pare molto ben fatto).

Piatto ricco…

Il piatto è a prima vista ghiotto: si leggono bene le regole di accettazione, si mandano le foto, si aspetta la risposta, e quelle selezionate dai “giudici” verranno messe in vendita sul sito dell’agenzia.

Ad ogni download, si guadagna. E certo sono cifre piccole, ma è la somma che fa il totale. E comunque non bisogna sbattersi con la promozione: ci pensa l’agenzia a rendere i nostri files disponibili al cliente.

Il filtro dei “giudici” si rende necessario perché i clienti di queste agenzie lavorano quasi sempre nel campo della pubblicità, dell’editoria web, dei cataloghi… quindi le immagini devono rispondere a determinati requisiti, per essere “appetibili”.

Perché no?

Circa tre anni fa mi sono detto il fatidico “perché no?,” ed ho provato anche io ad inviare alcune foto ad un’agenzia. Si trattava, segnatamente Shutterstock.

Com’è andata?

Dieci foto mandate, dieci foto scartate!! Yeah!! 🙂

Naturalmente, le agenzie rispondono con le esaustive motivazioni (hanno tutto l’interesse a che l’utente corregga il problema e rimandi la fotografia).

Ecco alcune delle mie foto scartate, unitamente alla motivazione del rigetto (ho solo tradotto in italiano, per il resto è “copia-e-incolla”).


“Leaf on wet sand”

“Illuminazione scadente” – L’illuminazione è scarsa o non uniforme. Il bilanciamento del bianco potrebbe essere sbagliato.

Scarsa o uniforme in che senso? Il bilanciamento è “sbagliato” rispetto a cosa?


New York City telephone

“Illuminazione scadente” – L’illuminazione è scarsa o non uniforme. Il bilanciamento del bianco potrebbe essere sbagliato.

Stessa cosa di cui sopra…


“Old brick wall”

“Composizione” – Valore commerciale limitato a causa dell’inquadratura, ritaglio, e/o composizione.

E in che modo il valore commerciale aumenterebbe, se la ritagliassi?


“Railway in Cross processed image”

Problemi di illuminazione – purple fringing, luci bruciate, o flare dovuto alle lenti.

Eh vabbé, l’ho scritto pure nel titolo, che i colori sono volutamente così…


“Old fashioned bicycle”

“Illuminazione scadente” – L’illuminazione è scarsa o non uniforme. Il bilanciamento del bianco potrebbe essere sbagliato.

Ancora! E poi il bilanciamento del bianco… in una foto monocromatica?


Sul momento ci rimasi male (inutile nascondersi dietro a un dito), anche perché queste critiche mi parevano proprio assurde. Come nel caso della ferrovia: l’effetto cromatico era voluto, l’avevo scritto anche  nel titolo!

Ma poi ho riflettuto su un fatto che avrei dovuto capire sin da subito:

La fotografia di microstock non ha niente di artistico. E’ il regno del cliché, dello standard, delle immagini patinate e prive di identità stilistica.

Ed è giusto che sia così!, se il fine è quello di illustrare un catalogo o una pagina web, cioè di piacere alla massa.

Dietro a queste foto, insomma, non deve esserci niente di niente… se non , ed è chiaro, la spesso considerevole fatica per ottenerle (corretta illuminazione, soggetto ideale, post-produzione accurata, eccetera).

Ecco perché io non potevo né potrei mai andare d’accordo con questo tipo di fotografia. La mia concezione è molto diversa.

Ed ecco anche perché mi sono ben guardato dal correggere i problemi evidenziati (ammesso che fossero problemi) e rimandare le foto.

Ho semplicemente chiuso il capitolo.

Credo sia importante, però, trovare sempre un lato positivo in ogni esperienza.

Nel mio caso, ho acquisto maggiore consapevolezza su ciò che volevo fare, rafforzando la mia preferenza verso una fotografia maggiormente “concettuale”. Il microstock, insomma, ha agito da “prova del nove”.

Ma… il microstock è un male assoluto?

e-quindi-fai

Vorrei evitare di entrare in questa diatriba, che mi pare sterile. Ma credo sia quasi impossibile farlo.

Sta di fatto che per alcuni la fotografia di microstock “non è vera fotografia”.

Esiste insomma una sorta di elitaria ripugnanza verso questo ambito, considerato mercimonio di bassa categoria.

Perché penso sia “elitaria” (e aggiungo: sterile)? Perché si può non apprezzare il genere (è il mio caso), ma non si può non riconoscere che esistono mille modi di fare fotografia, ed hanno tutti pari dignità. Torno alla precisazione iniziale.

Questo vale anche per altri ambiti, non solo il microstock! Per fare qualche esempio:

  • Se Eric Kim passa le sue giornate a sorprendere sconosciuti in strada mentre sono intenti ai fattacci loro (vorrei vederlo all’opera con la nostra privacy!) e appoggiare la sua Leica solo per scrivere articoli in cui “la macchina non conta”, buon per lui.
  • Se Ken Rockwell ama i paesaggi con colori così mostruosamente saturi da sembrare una brochure del cioccolato Willy Wonka, buon per lui.
  • Se Teddy Richardson riempie la rete di foto dove persone famose fanno la linguaccia o si toccano i genitali e per questo viene considerato un genio, buon per lui.
  • Se un sacco di gente passa dieci ore al freddo in una tenda mimetica facendo pipì in una bottiglia per fotografare il cervo in amore che bramisce, buon per loro.

Tutto questo a me “fa specie”, e lo trovo assurdo. Ma è un parere personale, che non ha nessuna rilevanza assoluta. Quindi trovo inutile sprecare banda sui forum per condurre battaglie “di genere”.

A ognuno la sua nicchia, a ognuno la propria passione. E’ giusto così.

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