Perché amo stampare in camera oscura

On 13/10/2014 by Nicola Focci
Sony Center

Berlino, Sony Center

Le argomentazioni che seguono sono alquanto personali e molto poco “di marketing”. Ognuno vive la fotografia a modo suo, e questo vale anche per la stampa… chi la fa, e chi non la fa.

Però… però mi sento di riportare su carta virtuale queste piccole gioie.

Magari saranno condivise tutte o in parte dagli “analogisti” come me.

E gli altri, chissà, potrebbero farsi venire la curiosità di provare! 😉

La non ripetibilità

L’arte non è mai finita; solo abbandonata.

(Leonardo Da Vinci)

Intanto, a me piace stampare in camera oscura perché è un processo non ripetibile in modo scientifico.

Voglio dire che la stessa stampa dallo stesso negativo, con gli stessi chimici, e gli stessi parametri, può uscir fuori diversa a distanza di tempo. E questo perché cambia la temperatura, l’umidità, il comportamento del timer, persino il lotto di produzione della carta sensibile…

Intendiamoci: non è che esca verde anziché bianco e nero! Però non di rado occorre mettere mano ai parametri (che poi son solo due, esposizione e contrasto). Io li segno sempre; ma quando devo rifare una stampa, è d’obbligo un provino… usando la stessa carta (dalla stessa confezione) della stampa finale.

Questa cosa di sicuro farebbe uscir matto un digitalista convinto. Diamine: se stampo un documento di Word, oggi o domani o tra un anno, sempre quello è!

Si tratta però di un aspetto che, a mio modo di vedere, impreziosisce (e nemmeno di poco) la fotografia; perché ognuna di esse diventa un esemplare unico, irripetibile, coi suoi pregi ed i suoi difetti… esattamente come gli esseri umani: siamo sette miliardi, eppure non ce n’è uno uguale all’altro.

Come una nursery

Fare fotografie è una questione personale.

Se non lo è, i risultati non sono convincenti.

(Robert Adams)

Ho senz’altro accennato al fatto che la fotografia è per me un surrogato della paternità, dal momento che non ho (almeno per ora) figli.

Ci pensavo proprio ieri, mentre agitavo la bacinella dello sviluppo. L’ho messa su una specie di “dondolo” (costruito da un amico) per agevolare l’operazione… e a voite mi sembra proprio di cullarla, la foto!

E quando tolgo dalla bacinella la mia stampa in carta baritata appena nata, è fragile…

…ma poi si asciuga, e diventa robusta e rigida, pure un po’ ribelle e curva.

Come un figlio, anche la stampa bisogna lasciarla andare, prima o poi. Può dare delle grosse soddisfazioni, così come può fare dei grossi danni; ma di sicuro farà il suo corso.

DEVE fare il suo corso!

Nella Batcaverna

Un giorno qualcuno che amavo mi diede una scatola piena di oscurità.

Mi ci vollero anni per capire che anche quello era un dono.

(Mary Oliver)

La camera oscura è un po’ come la Batcaverna per Batman: dove il fotografo tiene la sua attrezzatura e sviluppa i suoi piani. Nella Batcaverna non esistono dogmi, ricette ideali, procedure perfette: lì, si è semplicemente se stessi.

A nessuno verrebbe in mente di rompergli le scatole, a Batman, mentre è nella sua Batcaverna.

Penso che stare lì dentro rappresenti quasi una sorta di meditazione, o almeno una fetta di tempo tutta per noi stessi. Non nascondiamocelo: a volte, è necessario. Non siamo sempre così sociali come…i social vorrebbero farci credere.

Ci vuole tempo a disposizione? Naturale, che ce ne vuole! Ma se per un centinaio di anni i fotografi l’hanno trovato nonostante compagni e figli e cani e gatti e chi più ne ha più ne metta, non vedo dove sia il problema. Ovviamente non si può pensare di mantenere il ritmo di logorrea fotografica del digitale: bisogna cambiare approccio! Meno quantità, più qualità. È più simile a quello del pittore (concettualmente).

Una bella limata al perfezionismo

Il perfezionismo è la voce dell’oppressore, il nemico del popolo.

Vi renderà limitati e folli per tutta la vita.

(Anne Lammott)

La camera oscura insegna anche a non essere eccessivamente perfezionisti.

Si capisce rapidamente che è inutile intestardirsi troppo su una stampa: dopo un’ora e mezza di mascherature e bruciature, si diventa talmente persi e stanchi, che la capacità di giudizio è andata a donne di facili costumi. E’ una perversa spirale dalla quale si esce più insoddisfatti di prima.

A un certo momento, e come si diceva, la stampa “va lasciata andare”.

Questo vale anche se si è agli inizi: per imparare dagli errori, bisogna portarli a termine!

Confesso che a volte mi capita di ammattire mezz’ora per fare un’intervento, mostrare a mia moglie la versione con e senza, e sentirmi semplicemente dire che preferisce l’originale. Mi darei delle martellate sulle dita! 😀

Sensazioni concrete

Se arrivate ad un bivio, imboccatelo.

(Yogi Berra)

Ultimo ma non ultimo, in camera oscura si ha a che fare con robe concrete.

Ora, non voglio passare per quello che odia la tecnologia: passo più tempo davanti ad una tastiera che a dormire, ho il mio bravo smartphone e il mio bravo tablet, faccio largo uso di sistemi cloud come Evernote, eccetera.

Sta di fatto che persino Steve Jobs detestava i disegni al CAD: voleva maneggiare prototipi fisici. Era una delle sue famose ossessioni.

E non posso dargli torto. Sarà la mia natura di “nativo analogico”, ma la fotografia digitale mi sembra impalpabile, priva di sostanza. 

Per sapere che ho a che fare seriamente con qualcosa, io ho bisogno di maneggiarla, quella cosa. Non posso davvero accontentarmi di un upload su Flickr.

Voglio toccare con mano.

2 Responses to “Perché amo stampare in camera oscura”

  • Beh hai ben sintetizzato la natura molto “concreta” della fotografia analogica e di come va approcciata.
    Una curiosità, vorrei sapere da te, quando non riesci, nemmeno con mascherature e bruciature, ad ottenere la stampa come la vorresti, rinunci e non la stampi o tieni quella che più si avvicina al tuo ideale di come avevi pensato quella foto.

    Spero di essermi spiegato 🙁

    Ciao
    Sergio

    • Sei stato chiarissimo! 😉
      La risposta è:non rinuncio mai, e porto comunque in fondo la stampa. I motivi sono due:
      1) Come scrivevo, è bene portare a termine anche gli errori, in modo da tenerli come esempio;
      2) La stampa bagnata (specialmente su carta baritata) tende ad essere un po’ meno scura rispetto a quando è asciutta. Conviene sempre attendere e rifare la valutazione da asciutta…