La mia Islanda “analogica”

On 08/12/2014 by Nicola Focci
Hellnar

Hellnar

L’Islanda? Un paese dimenticato da Dio.

(Bobby Fischer)

Ogni viaggio è sempre doppio: c’è quello che si fa sul momento (a caldo); e quello che vive dopo, nei ricordi successivi e grazie anche alla fotografia. Non di rado questi due viaggi sono piuttosto diversi; e se non sembrano diversi, è spesso perché non ricordiamo bene le sensazioni a caldo!

Nel mio caso, il “primo viaggio” in Islanda l’ho raccontato in tempo reale – giorno per giorno – su un apposito blog. Mi è quindi facile ripercorrere quelle sensazioni: basta un clic.

Il “secondo viaggio” invece constava di dodici pellicole 120. Nonostante la mole di lavoro richiesta (ci torno dopo), ero molto curioso di verificare quali sensazioni mi avrebbero scatenato questi scatti, quale sarebbe stata insomma la mia “seconda Islanda”.

Finalmente ce l’ho fatta! 😉

Per chi avesse fretta e fosse scarsamente interessato alle mie elucubrazioni, questa è la pagina contenente le foto che ho selezionato e stampato.

Difficoltà

Terminata la seduta di stampa e di scrematura, ecco subito una prima consapevolezza, che definirei di natura artistica: l’Islanda non è un luogo facile per un fotografo.

Dynjandi

O meglio: lo è, se il tuo scopo è unicamente quello di portare a casa delle belle cartoline. Allora è piuttosto agevole… perché basta rispettare qualche accortezza (ne parlavo nell’articolo a caldo) per tornare a casa con l’imponente cascata setosa, i blocchi di ghiaccio cristallino sulla spiaggia, o la “bolla” del geyser che sta per esplodere. L’unico limite è la clemenza di Giove Pluvio… e la conoscenza di quei due o tre “trucchi” spiegati in mille manuali.

Ma come scriveva Luigi Ghirri:

Non è necessario essere Calvino per scrivere un diario di viaggio.

Il problema arriva quando alla fotografia si chiede qualcosa in più.

Ecco quindi che raccontare “la propria idea di un paese”, in Islanda, non è facile. Perché si tratta di un luogo con una forte personalità. Anzi, oserei dire: una soverchiante personalità!, dove imporre una propria visione non è semplice. Accade un po’ come quando, nella compagnia di amici, c’è il guascone dal carattere forte che ci rende difficile emergere…

In definitiva, però, la definirei più una “sfida” che una “difficoltà”.

Alieni

La seconda cosa che mi ravviso sfogliando le mie stampe, è un’Islanda molto più cupa di quella che si gusta su Flickr o sulle varie guide patinate. E non solo per l’uso del bianco e nero.

Ne deriva, penso, un senso di inquietudine… come di un astronauta che si trovi a visitare un pianeta alieno. Ma non il tipo di astronauta fiducioso e sicuro della sua missione, bensì quello che – per uno strano scherzo spaziotemporale – si ritrovi catapultato lì senza volerlo.

Hvalnes

Hvalnes

La natura, che in quel paese è prorompente, sembra davvero qualcosa di extraterrestre. E’ ostile, quasi del tutto priva di verde, e a tratti fa paura. Io ho avuto la fortuna di vedere altri posti analogamente spogli come l’Arizona o lo Utah… eppure l’Islanda sembra proprio un luogo dove la ruota della vita si è inceppata.

Questa foto ad esempio l’ho scattata non per indulgere in modo perverso sulla carcassa, ma perché quell’animale morto era semplicemente perfetto per quel posto.

Reynisdrangur

Come sempre, è il nostro Io interiore a guidare il dito indice (che scatta la fotografia). Quindi è probabile che questa visione cupa derivi in gran parte dal mio disagio interiore.

Non pretendo di fornire una visione oggettiva dell’Islanda, insomma. Però…

Trappole

Terminando con dettagli più tecnici, mi rammarico di aver scattato troppo, troppo, troppo.

Mi rendo conto che 12×12=144 fotografie possono far sorridere un digitalista; eppure rappresentano ancora un boomerang in fase di scrematura e post-produzione. Poi dipende sempre dall’obiettivo finale, è chiaro: per un libro fotografico possono anche essere poche! Ma per me – abituato a contenere in 10-12 scatti la numerosità di ogni progetto – rimane una quantità non facilmente gestibile.

Perché ho scattato così tanto? E’ presto detto (ma posso capirlo solo ora): sono caduto troppo spesso nella trappola di voler rappresentare l’icona del luogo, anziché ciò che mi suscitava. E’ una tentazione sempre difficile a resistersi… specie quando fai viaggi di questo genere, in posti che non conosci, e magari (come detto) dotati di una forte personalità propria.

Ho dovuto scartare molte foto che, per quanto mi piacessero, non si discostavano troppo dal cliché (e si allontanavano dal mio sentire).

Ho dovuto scarnificare e ridurre all’osso, per andare al midollo di ciò che davvero volevo rappresentare. Penso che questo processo – sicuramente doloroso perché si lascia dietro molti “cadaveri fotografici” – sia sempre un po’ necessario.

Geysir

Geysir

Nel complesso, comunque, sono soddisfatto delle (poche) fotografie che ho selezionato e stampato. Non ho la pretesa di definirle “belle”, ma di sicuro sono “mie” nel senso che riflettono i miei sentimenti. Tra “piacere per forza” e “non commettere errori”, è sempre preferibile la prima opzione! 😉

Ultimissima annotazione: ho preso quattro voli, e fatto quindi superare alle mie pellicole (Delta 400) quattro controlli di sicurezza. Risultato: nessuna velatura o problemi di altro tipo. Ulteriore conferma di quanto scrivevo alla fine dell’articolo su pellicole e raggi-X: è un falso mito. Almeno a 400 ISO.

(NB – Scansioni da stampe ai sali d’argento su carta politenata)

2 Responses to “La mia Islanda “analogica””

  • Ho visto le foto e devo dire che sei riuscito a dare un’interpretazione non comune all’Islanda. E’ un posto che mi piacerebbe conoscere e penso che anch’io cadrei facilmente nella trappola delle foto comuni (bellissime, ma senza personalità).

    Alcune attirano più di altre la mia attenzione. Se ho capito un po’ la tua ricerca fotografica, devo dire che quella che mi sembra più riuscita sia quella della carcassa dell’uccello sulla spiaggia (Reynisdrangur). Se ce n’è una… qual è la tua preferita?

    • Grazie del commento, Stefano. Riesci sempre a cogliere il punto!
      Per quanto vi possa trovare mille difetti (sui quali non mi soffermo), la foto che forse preferisco è quella della mia ombra senza testa sul ciglio della cascata (la seconda nell’articolo).
      Rivedendola, provo la stessa sensazione che ebbi quando la scattai: un forte disagio… come se il mio essere razionale si sentisse umiliato di fronte a quella natura che sentivo così “grande” ma soprattutto “aliena”. Nemmeno senso di rispetto, ma proprio disagio… essere “fuori posto”, insomma.
      Probabilmente (anzi sicuramente) riflette le tante sensazioni che si accavallano nella testa quando superi i quaranta e cominci a fare i conti col tempo che passa. Dieci anni fa, penso, avrei avuto uno sguardo più positivo! 😉