Il database informatico dei provini a contatto

On 16/02/2015 by Nicola Focci

Da buon fotografo analogico, anche io ho il mio bravo faldone di provini a contatto. Nel corso del tempo è diventato pesante: scomodo da trasportare e da consultare. E quindi mi son detto: perché non digitalizzarlo?

D’accordo: si verrebbe a perdere un po’ del “sapore” analogico nello scartabellare i sudati fogli con i nostri sudati rettangolini in positivo. Però io sono un fiero sostenitore del “giusto mezzo per il giusto fine”: in certi ambiti, la comodità della tecnologia digitale è impagabile.

Per essere concreti, ecco i vantaggi (e le caratteristiche ideali) di un database informatico dei provini a contatto:

  • Contiene l’immagine del provino stesso (ovvio!);
  • Contiene tutte le informazioni accessorie: data di scatto, pellicola, rivelatore, dettaglio dei soggetti, eventuale geolocalizzazione dei soggetti…
  • E’ indicizzato con opportune parole chiave, per facilitare la ricerca;
  • E’ su cloud, sì da potersi consultare su dispositivi diversi (oppure dal fatidico divano!).

Ecco come sto procedendo io.

Scansione del provino

Qui non c’è granché da dire: basta uno scanner flatbed (piano), nemmeno troppo costoso.

Il software ha importanza relativa; io uso Pixelmator su OS-X:

Screenshot 2015-02-10 18.55.15

 

Mi limito ad aumentare un po’ la maschera di contrasto, aggiungere l’algoritmo di rimozione della polvere, e sistemare poi i livelli (in automatico): stop. Si parla pur sempre di un provino, non di un file da stampare e mostrare!

Ci si potrà chiedere: ma perché non usare direttamente uno scanner retroilluminato per acquisire subito i negativi, anziché un provino a contatto stampato in camera oscura? Non si fa prima?

Certo che si fa prima! Ma lo scopo del provino a contatto è quello di fornire indicazioni per l’ingrandimento finale in camera oscura. Siccome stampo il provino usando un grado di contrasto 2, ho un punto di partenza per determinare il contrasto della stampa finale. In soldoni: so da dove partire.

Nome del file

Il nome del file così ottenuto è abbastanza importante, perché riflette la codifica che già impiego per i miei provini cartacei. Che è la seguente:

[progressivo del progetto].[anno].[sub]_[pagina]

…dove:

  • “progressivo del progetto” identifica il progetto (o il soggetto),
  • “anno” è l’anno nelle sue ultime due cifre,
  • “sub” è un ulteriore progressivo che identifica più negativi dello stesso progetto (e può essere assente se il progetto si è esaurito in un solo rullino),
  • “pagina” può essere solo 1 o 2 (perché io uso fogli 18×24 sui quali stanno sei fotogrammi 6×6, quindi me ne servono due per ogni rullino, e due saranno anche le scansioni).

Ad esempio: “07.14.03_2.JPG” identifica la scansione JPG della seconda pagina del provino relativa al settimo progetto (o la settima seduta di scatto) del 2014, terzo rullino del progetto.

Mi rendo conto che suona complicato, ma è più facile ad usarsi che a spiegarsi. E comunque la codifica è un fatto personale: ognuno deve usare quella che gli è più comoda! L’importante, è che esista… 😉

Creazione del database

Io uso Evernote, del quale avevo parlato anche qui, approfondendone anche alcune caratteristiche in altro blog. Mi torna comodo perché lo impiego da diverso tempo come archivio dei miei documenti, istruzioni, appunti, pagine web, eccetera.

Ha tutte le caratteristiche che servono allo scopo, nonché molte funzionalità utili ed interessanti. (Per chi non conosce Evernote, qui è l’introduzione ufficiale, fatta piuttosto bene).

Operativamente, quindi, creo una “Nota-provino” per ogni negativo in Evernote (e che quindi conterrà due files JPG). La Nota-provino ha come titolo il codice del provino stesso. Ecco come si presenta:

NotaPag1

(L’inizio della Nota-provino…)

NotaPag2

(…e la fine)

Come si vede, alla Nota-provino allego anche la scansione PDF della “Scheda Sviluppo Negativi”. Volendo, si potrebbero allegare anche scansioni di provini d’ingrandimento, appunti su mascherature/bruciature, e così via.

Tag, ricerche, funzionalità avanzate

Tutte queste Note sono contenute nel mio unico taccuino generale “Archivio”: infatti io utilizzo il sistema spiegato da Michael Hyatt per usare pochissimi taccuini e molti tag – anziché il contrario, come spesso viene fatto.

Le Note-provino sono tutte identificate dallo stesso tag “.Archivio Negativi”; e sotto questo tag sono a loro volta “nidificati” altri tag che mi servono per catalogare le singole Note-provino a seconda del loro contenuto:

Screenshot 2015-02-10 19.12.25

Il resto, lo fa l’algoritmo di ricerca Evernote, che è piuttosto potente (e funziona anche sul contenuto delle Note).

Non finisce qui, perché con Evernote è anche possibile:

  • Creare una “Nota sommario” di tutte le “Note-provino” (questo articolo spiega come fare).
  • Aggiungere un promemoria ad una Nota-provino, per esempio se voglio ricordarmi di fare qualcosa legato a quel dato negativo in quel preciso giorno.
  • Condividere una Nota-provino come link pubblico da girare via mail (questo articolo spiega come fare).
  • Referenziare la una Nota-provino (sempre come link) in un’altra Nota, per esempio in una Nota di appunti relativi al progetto che sto portando avanti in stampa.

Apparirà ora chiaro perché questo sistema (o similari, per esempio c’è anche One Note) è sicuramente preferibile a una mera cartella di scansioni JPG.

Risultato finale: comodità

Quando finirò questo (lungo!) processo, avrò un archivio esaustivo che posso consultare praticamente sempre, senza essere legato al faldone cartaceo.

L’esempio classico è quello della pausa pranzo: se voglio lavorare ai miei progetti fotografici analogici anche quando sono lontano dal mio studio, adesso posso farlo senza grossi intoppi.

2 Responses to “Il database informatico dei provini a contatto”

  • Vorrei segnalarti un dettaglio: impostare l’algoritmo di rimozione della polvere, nel tuo caso, con ogni probabilità è perfettamente inutile: tale funzione, infatti, è in realtà presente solo sugli scanner dotati di retroilluminazione (se noti, sulla schermata che hai postato, è vicino all’opzione “correzione retroilluminazione), e si attiva solo quando si sta acquisendo un negativo fotografico o una diapositiva, non quando si acquisisce un supporto opaco.

    Inoltre, tale funzione è prevista per essere usata su pellicole a colori (negativi o diapositive), non sulle pellicole in bianco e nero, e nemmeno sulle vecchie Kodachrome; il motivo è che tale tecnologia si basa sulla scansione ad infrarossi (e già non tutti gli scanner la supportano): una pellicola a colori impressa è perfettamente trasparente alla luce infrarossa, quindi se viene acquisita illuminandola in trasparenza con led a infrarossi (i sensori CCD vedono perfettamente la luce infrarossa: puoi constatarlo facendo una foto con una fotocamera digitale ad un led di un telecomando) sulla scansione non si vede l’immagine…. ma si vedono benissimo eventuali granelli di polvere o graffi che non fanno parte dell’immagine; tale scansione viene usata dal computer per sapere dove si trovano i granelli di polvere e correggere la fotografia. La pellicola in bianco e nero, però, è diversa, e non è affatto trasparente all’infrarosso: se viene acquisita con uno scanner a infrarossi, l’immagine si vede comunque (i pigmenti della pellicola B/N si comportano allo stesso modo con ogni colore, incluso l’infrarosso): il computer non riesce quindi a distinguere le macchie di polvere dai dettagli della foto, e non può correggerli (anzi, rischia di rovinare l’immagine)

    Personalmente, l’ho scoperto digitalizzando delle vecchie diapositive 6×6, e dei negativi fotografici ancora più vecchi (addirittura 6×9… oggi c’è ancora qualcuno che li usa?): sulle immagini a colori, la rimozione della polvere dava qualche miglioramento, ma sulle immagini in bianco e nero andava disattivata, altrimenti la scansione veniva malissimo.