Elogio del non sapere

On 23/03/2015 by Nicola Focci

 

M. C. Escher, Waterfall, 1961 (fonte: Wikipedia)

M. C. Escher, Waterfall, 1961 (fonte: Wikipedia)

In teoria non c’è differenza fra la teoria e la pratica. Ma in pratica c’è.

(Yogi Berra)

Si dice che un professore di matematica, una volta, invitò M. C. Escher ad un suo seminario.

Nelle opere dell’artista olandese, infatti, aveva ravvisato la perfetta rappresentazione della teoria numerica che intendeva dimostrare.

Escher andò, e non capì assolutamente nulla. Al costernato professore, rispose chiaramente: “Non amo le cose astratte”.

La corrispondenza tra teoria e xilografia, era del tutto incidentale.

Insegnamenti

Di teoria, volendo, ce n’è tantissima anche dietro ad una semplice fotografia.

E questo vale anche per l’analogico: esistono dissertazioni di chimica talmente approfondite, da far invidia ad una tesi di laurea!

Quando poi si entra nell’ambito del digitale, ecco che si mette un piede anche nel vasto campo dell’informatica…

E allora lascio volentieri parlare Seth Godin, con una traduzione (mia) di un suo recente post: “La differenza tra l’impegno e la tecnica”.

Spendiamo sin troppo tempo per spiegare alla gente la teoria. Gli spieghiamo come essere bravi col flauto, col C++, col calcio.

Di fatto è uno spreco. Perché le persone possono imparare ad essere brave in qualcosa solo se decidono di esserlo, se decidono di fare il salto e di impiegare i loro sforzi nel superare il fallimento e la frustrazione e lo sgobbare.

Ma tanta gente non vuole impegnarsi finché non ha scoperto che può essere brava in qualcosa. E allora dicono: “Insegnami, mentre me ne sto qui su un piede solo; insegnami, mentre spettegolo via chat con i miei amici; insegnami, mentre cazzeggio in altre cose. E sicuramente mi impegnerò, se l’insegnamento fa presa”. (…)

I grandi insegnanti, insegnano ad impegnarsi.

Il non sapere

A ben vedere, ci fu qualcuno che – tantissimi anni prima – rese il concetto in modo alquanto più filosofico ma efficace: Lao Tzu.

Coloro che sanno non parlano,
Coloro che parlano non sanno
(Tao Te Ching, 56)

Nel suo “Tao Te Ching”, il vecchio maestro parla del non sapere. Il che ovviamente non significa “agire in modo idiota”, ma semmai agire senza arrovellarsi troppo su quello che si sta facendo. Evitare di farsi fuorviare e distrarre dalla ragione.

La cultura occidentale mette il sapere sul piedistallo; quella orientale è invece perfettamente consapevole che un eccesso di sapere provoca la paralisi.

A tale proposito c’è una splendida metafora: quella del millepiedi.

Il milledipedi passa accanto ad una formica, che gli chiede: “Ma come fai a camminare con tutti quei piedi, senza incastrarti?”. Il millepiedi ci pensa, e subito si incastra.

Io penso proprio che la fotografia debba portarsi dietro anche una buona dose di “non sapere”.

Il background teorico è anche importante (tempi, diaframmi, sensibilità, contrasto…) ma  deve essere un fatto spontaneo ed acquisito, non forzato. E questo lo si ottiene solo in un modo: impegnandosi a ripetere, ripetere, ripetere. Come in tutte le cose umane, peraltro: dalla scrittura all’andare in bicicletta.

Consultare le regole della composizione prima di scattare una fotografia è come consultare la legge di gravità prima di uscire a fare una passeggiata.

(Edward Weston)

L’ossessione logora

Dobbiamo ugualmente evitare che il sapere diventi un’ossessione.

Lo so: è gratificante partecipare a corsi iper-tecnici o leggere tomi enciclopedici. (Il mio non lo è, al contrario è un libro molto pratico!). Sapere tutto sui DPI e conoscere le proprietà di ogni sviluppo per carte. Citare Test MTF a memoria o tenere il famigerato Ghedina sotto al cuscino.

Ma le ore che perdiamo a farci mille ghirigori sul perché diluire il tal reagente o operare sul tal parametro, è tempo sottratto alla fotografia sul campo!

Per fare belle fotografie, bisogna avere la testa imbottita di idee, non di concetti astratti.

2 Responses to “Elogio del non sapere”

  • In fotografia, il rapporto tra arte e tecnica è più stretto che in altre discipline artistiche. Su questo ho anche abbozzato qualcosa per il futuro blog.

    Ragionandoci mi è venuta in mente una figura che usa Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et Ratio “La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso
    la contemplazione della verità”.

    Alla fine anche arte e tecnica sono le due ali con cui la fotografia riesce innalzarsi verso i livelli più alti. Certo se le due ali non sono bilanciate invece di volare alti, si va a sbattere. Non si deve essere troppo sbilanciati da una parte o dall’altra e ciascuno deve cercare di bilanciare la sua indole per trovare un equilibrio.

    L’impressione che ho è effetivamente che tra gli appassionati di fotografia siano più quelli sbilanciati sulla tecnica, che quelli creativi/artisti.

    Penso che il problema sia dovuto al fatto che la tecnica è (relativamente) facile da imparare, mentre la creativitàè qualcosa di innato ed è più difficile da sviluppare. Per questo i grandi fotografi sono relativamente pochi 😉

    • Come sempre, mi trovo d’accordo con te Stefano… e ti ringrazio per il contributo. (Molto azzeccata e bella la citazione su Fede e ragione).
      Un po’ di tecnica è naturalmente necessaria ma, come dici tu, è una questione di equilibrio.
      E se l’equilibrio manca?
      Beh, io penso che si possa forse diventare un “bravo” fotografo (=di quelli che impongono una visione e si fanno ricordare) anche senza una grande padronanza tecnica, ma se si hanno delle grandi idee. Il viceversa, lo vedo più difficile.