Gli inossidabili emuli di Ghirri

On 09/03/2015 by Nicola Focci
Robert Adams, "Eden, 1968" (fonte: ilpost.it)

Robert Adams, “Eden, 1968” (fonte: ilpost.it)

Lo dico fuori dai denti: non sono un grande amante della “neotopografia“.

Mi riferisco (forse impropriamente) a quella corrente fotografica di paesaggio moderna – distaccata – che si è sviluppata negli anni ’60 del secolo scorso, caratterizzata da artisti indubbiamente importanti come Robert Adams, Lewis Baltz, Stephen Shore, Ed Ruscha

Lo ripeto: sono artisti importanti… e infatti esprimo un parere soggettivo. Ma i motivi per cui questa “neotopografia” mi sta poco simpatica, sono essenzialmente due.

Il primo, è che con me non funziona più di tanto.

Voglio dire che tendo a guardare queste foto in modo “nostalgico” e non riflessivo: ecco come erano gli anni ’60!, ecco i classici colori degli anni ’70!, e così via. Oltre ad essere sensazioni di breve durata, esse non fanno scattare l’analisi sulle modificazioni di quel paesaggio o il confronto col passato o qualsiasi altra questione che i “neotopografi” volevano sollevare. Non è colpa loro, ovviamente: è colpa mia!, probabilmente legata alla mia concezione di fotografia che predilige la riflessione alla denuncia… Però tant’è.

Stephen Shore, "U.S. 22, Union, New Jersey, April 24, 1974" (fonte: stephenshore.net)

Stephen Shore, “U.S. 22, Union, New Jersey, April 24, 1974” (fonte: stephenshore.net)

Il secondo motivo, che poi per importanza è il primo, riguarda la moda.

Vedo tanti – troppi – fotografi che scattano immagini come queste, non già con l’intento di dire qualcosa (come facevano Adams e Shore e gli altri), ma perché “fa tanto artistico”, è insomma una sorta di moda.

Ci si indigna tanto verso coloro che mettono “fotografo” nel loro profilo social; ma quest’ultimo – almeno ai miei occhi – è un peccato ben più veniale che non imitare un grande maestro e “tirarsela” da artisti originali.

In particolare, a nascere come funghi sono gli emuli di Luigi Ghirri. Se n’era già parlato un po’ di tempo fa, a proposito dell’eclettismo…

Luigi Ghirri, "Campagna emiliana",1987-89 (fonte: www.matthewmarks.com)

Luigi Ghirri, “Campagna emiliana”, 1987-89 (fonte: matthewmarks.com)

Ora: non so se Ghirri si possa definire un “figlio della neotopografia”. Magari sto prendendo lucciole per lanterne. Non c’è dubbio però che lo stile sia quello: un paesaggio spoglio, essenziale, intimo… dove la presenza umana è pressoché assente… perché in definitiva vuole essere il paesaggio interiore del fotografo, il modo in cui egli percepisce ciò che ha davanti.

Un grandissimo, Ghirri, non c’è che dire.

Solo che in tanti lo copiano spudoratamente. Non hanno niente da dire, ma lo dicono “alla Ghirri”Il paesaggio è triste; la connotazione industriale è predominante; il viottolo di campagna conduce nel nulla (e parte dal nulla); il colore è inevitabilmente desaturato…

Questi progetti possono anche essere impeccabili tecnicamente; ma il debito di riconoscenza degli autori verso il padre putativo è così grande che oscura quello che vorrebbero (o avrebbero da) dire.

Ecco quindi il problema, per me: la neotopografia è come un piatto di tortellini, è buonissimo il primo, ma al quindicesimo arriva la nausea.

Una selezione da Flickr…

Io però posso anche cercare di capirli, gli emuli di Ghirri. E’ impossibile essere totalmente originali: anche senza volere, è inevitabile “tendere” ai nostri miti fotografici.

Ma come diceva un maestro Zen: <<Se sulla tua via incontri il Buddha, uccidilo>>.

Per fare bene quello che vogliamo fare, non ci servono i culti e le divinità fotografiche.Quello che davvero ci serve, è compreso nella distanza tra le nostre orecchie, e solo lì.

5 Responses to “Gli inossidabili emuli di Ghirri”

  • Non c’è che dire, un post che lascia molto riflettere. La fotografia cosidetta “di maniera” ha o non ha un suo diritto autonomo rispetto al padre putativo? Me lo sono sempre chiesto quando inavvertitamente e più spesso volontariamente ho scattato foto imitando questo o quest’altro fotografo. Non ho mai trovato una risposta a questo dilemma ed alla fine riguardando tutti gli scatti insieme non mi risaltava più lo scatto “alla maniera di” ma un mio univoco punto di vista e quindi ho, magari sbagliando, considerare il risultato migliore rispetto alla singola foto.
    Tuttavia anche io non amo molto la fotografia alla Ghirri, per quanto in alcuni casi ci sono andato molto vicino. Purtroppo la trovo fin troppo soggettiva nella sua “visione soggettiva” e quindi poco adatta alla maggior parte di chi la osserva. E’ un discorso un pò complicato ma non trovo parole migliori per esprimerlo. Detto questo i suoi emuli, me incluso per quelle volte che l’ho imitato (forse), come tu ben dici li trovo ancora peggio perché spesso non hanno neppure il beneficio di una espressione di un pensiero soggettivo, ma un puro e semplice esercizio di stile.

    • Anche a me è capitato di “emulare”, però penso che un conto sia farlo mentre si sperimenta, e un altro sia farlo intenzionalmente e cioè ricondurre in toto il proprio stile a quel modello senza alcuna parvenza di “elaborazione”.
      Quando si sperimenta e si ricerca un proprio stile, trovo logico che si sia influenzati da quello che si vede: è un po’ come il bambino che impara copiando.
      Poi bisogna trovare la propria strada; e infondo il senso del mio post era una riflessione per chi magari è ancora prigioniero del proprio idolo. Non credo sia il nostro caso, Domenico… anche se ovviamente non dovremmo essere noi a dirlo! 😉

  • Mi sembra il genere di fotografie che va bene per siti come Historypin: su tale sito vengono infatti raccolte foto vecchie, e confrontate con immagini moderne prese da Google Street View, in modo che si veda immediatamente come è cambiato (o non è cambiato) un luogo nel corso degli anni.

    Le foto che hai mostrato, prese singolarmente non dicono molto: ma potrebbero dire molto di più, se affiancate con altre foto fatte esattamente nello stesso luogo (con la stessa inquadratura) a distanza di dieci-venti anni.

  • La neotoprografia a me non dispiace come genere. Di Robert Adams, ho trovato molto interessante la lettura de “la bellezza in fotografia”, da cui ho tratto alcune interessanti riflessioni e mi piacciono anche il lavori dei coniugi Becher. Apprezzo di questo filone quella ricerca fotografica che è anche sociale, antropologica e storica. Un genere meno concettuale e più documentale in cui trovo più facile muovermi.

    Sicuramente questa facilità è in parte solo apparente ed è una tentazione per molti che si vogliono cimentare in una fotografia più impegnata, ma allo stesso tempo non riescono (ancora?) a rielaborare alcuni concetti sottostanti a un genere per trovare una propria visione originale. Il risultato è un’accozzaglia di foto senza logica, un brodino riscaldato che ha ormai stufato.

    Le foto che hai selezionato da flickr, secondo me, peccano principalmente di mancanza di progettualità, di una ricerca sociale, culturale, antropologica, urbanistica, ecc… che vada ad alimentare una ricerca più squisitamente fotografica.