Perseguendo il non agire

On 05/10/2015 by Nicola Focci

Per conquistare il mondo

sempre attieniti all’assenza di faccende.

Se hai faccende

non sei in grado di conquistare il mondo.

(Lao Tzu, Tao Te Ching, 48)

Il mio incontro con il Tao Te Ching risale ormai a circa due anni fa. L’ho letto tutto, riletto e sottolineato, riletto e sottolineato ancora, lasciato “macerare”…

Tra le altre cose, questo testo mi ha ispirato anche l’articolo “Elogio del non sapere”.

Adesso mi trovo a meditare su un concetto altrettanto paradossale: “Non agire”. Che permea tutta l’opera del “vecchio maestro”… ed andrebbe meglio tradotto nell’ancora più paradossale concetto di “agire con il vuoto”.

La non-idea

Ho messo alla prova questo tipo di atteggiamento nel corso del mio ultimo viaggio in Giappone, i cui risultati sono ancora da valutare (ho appena finito di sviluppare le pellicole).

Come ho scritto nell’articolo di qualche tempo fa, sono partito con un’idea di scatto che era… una non-idea: agire secondo l’istinto e non in modo razionale. Ho evitato assolutamente di documentare il luogo o basarmi su un concetto predeterminato (ne nomino alcuni a caso: acqua, sacralità, regole rigide…), lasciando che fosse la “pancia” a guidarmi.

Se il mio occhio restava colpito o incuriosito da un’immagine a livello istintivo, scattavo; altrimenti, desistevo ovvero non forzavo.

I primissimi scatti non sono stati facili, perché mi sembrava di bighellonare senza uno scopo, di perdere del tempo!

Ma in breve mi sono reso conto che stavo fotografando in modo molto più sereno, sciolto, spontaneo.

E mi divertivo parecchio!, tanto che, tornando con “soli” 6 rullini 120 in due settimane di Giappone, non ho avuto alcun rimorso… di quelli per la serie “mannaggia, dovevo fare di più!”.

Penso che “divertirsi facendo” sia una condizione non sufficiente, ma comunque necessaria.

Occorre sempre darsi degli obiettivi?

Questo test sul campo mi ha quindi portato a ragionare sul concetto di obiettivo, e conseguentemente di progetto (che altro non è se non una prassi veicolata da obiettivi).

Ne ho scritto spesso, in questo blog… con la ferma convinzione che avere un progetto ben determinato sia indispensabile, cioè sia la classica condizione sine qua non del “fare fotografia in modo artisticamente impegnato”.

Ne ho scritto spesso, sì… anche se qua e là emergeva qualche dubbio (“Fare arte significa fare amore”)… qualche spallata al concetto di obiettivo (“Propositi per l’anno nuovo: coltivare l’abitudine”)…

Di recente ho poi letto  questo articolo dello scrittore Leo Babauta, trovandolo illuminante.

Babauta spiega che gli obiettivi sono culturalmente radicati nella nostra moderna civiltà, ma si portano dietro un sacco di problemi. Se non li rispettiamo (cosa che accade spesso), ci rattristiamo e ce la prendiamo con noi stessi; diventa frustrante e perdiamo spinta ed interesse. Se li rispettiamo, ne fissiamo subito di nuovi, perché siamo perennemente insoddisfatti… e ci rendiamo schiavi di un circolo vizioso.

In entrambi i casi, insomma, gli obiettivi possono essere controproducenti. Perché diventano l’unica molla del nostro agire: ci sentiamo forzati anche se non è il momento giusto, perdendo spontaneità e flessibilità.

Alcuni sistemi ad obiettivo sono maggiormente flessibili, ma non c’è nulla di più flessibile del non avere obiettivi.

(Leo Babauta)

Fallo e basta

Direte voi: sì vabbé, è tutto molto bello… però è impossibile “conseguire qualcosa” se non ci si pone un obiettivo!!

Yogi Berra nel 1953 (fonte: Wikipedia)

Come disse l’immortale Yogi Berra (quello del “Non è finita fino a che non è finita”):

Se non sai dove stai andando, potresti arrivare da qualche altra parte. (Yogi Berra)

Ecco: secondo Babauta, la chiave sta proprio in questa “altra parte”. Infatti, il termine “non avere obiettivo” non implica stare davanti alla TV spalmati sul divano (!), ma seguire il consiglio di Lao Tzu, ossia agire “senza faccende”, agire con il vuoto. O per usare uno spot pubblicitario molto famoso:

just-do-it

“Agire senza obiettivi” significa essere liberi di seguire la propria passione senza inscatolarla dentro alle pareti di un labirinto preconfezionato.

Significa non farsi troppe questioni sul “dove” si vuole arrivare, né porsi dei rigidi termini temporali per arrivarci.

Significa fare quello che piace fare   quello che muove la nostra curiosità – senza farsi fregare dalla razionalità.

Fare e basta!

Sul piano pratico, implica il liberarsi dall’ansia di “incasellare” le proprie fotografie nell’ambito di un progetto rigidamente categorizzato.

Attenzione: non si tratta di produrre un minestrone incoerente!, ma di lasciar parlare il proprio essere fotografico.

Se possediamo uno stile, la coerenza ed i risultati verranno da sé.  

Come l’artigiano intagliatore di quella vecchia parabola Zen. O come l’arciere che ispirò Henri Cartier-Bresson. [NOTA – Di questa faccenda del “possedere uno stile”, ne scriverò a brevissimo.]

Ma è davvero possibile?

Certo che lo è!

Pensate ai grandi fotografi che hanno agito senza l’assillo della progettualità!

Minor White o Andreas Gursky, per citare i primi due che mi vengono in mente.

Oppure anche Daido Moriyama, i cui soggetti non derivavano da una spinta progettuale a monte, ma semplicemente dal suo “vagare” senza una meta precisa in mente.  Moriyama lo spiega proprio esplicitamente in un video: “giro senza meta come un cane randagio o un insetto, e scatto”.

Agire con il vuoto! Questa direzione – che qua e là emergeva nel blog – mi ha letteralmente e forse definitivamente rapito.

 

2 Responses to “Perseguendo il non agire”

  • Articolo molto interessante. Centra un aspetto rilevante per tutti noi “occidentali” e in particolare per chi ha una mentalità razionale.

    Una riflessione utile per capire che gli obiettivi da raggiungere sono sempre e comunque degli strumenti, a cui dare il giusto peso… per non perdere il vero “obiettivo”!

    La mancanza di tempo è una cosa che riguarda tutti… tutto deve essere fatto per ottimizzare il tempo a disposizione. Questa è una cosa importante… ma a volte, il tempo “perso” è quello più utile per maturare un’idea, per lasciare che i pensieri volino senza meta fino ad arrivare a quell’intuizione che era li, ma sfuggiva, perchè concentrati su qualcosa di più concreto.

    La progettualità rimane fondamentale… ma la cultura orientale ci aiuta a ricordarci che la programmazione che facciamo, gli studi e la pratica servono per arrivare al nostro fine. Il termine “non agire” è un bel modo per figurare questo fine.

    Il “non agire” io ho l’ho inteso come un “agire incosapevolmente”. Avere un controllo di un azione senza neanche pensarci. per rimanere terra terra… quello che succede quando si impara a guidare; all’inizio siamo concentrati sulla frizione, il cambio e il volante… dopo pensiamo solo a guidare.

    • Lo intendo anche io in questo modo. Inconsapevolmente… come nella famosa favola del millepiedi che incontra la lumaca, e quando quest’ultima gli chiede come riesca a non incastrarsi con tutti quei piedi, lui ci pensa e si incastra!!
      Personalmente, vedo che spesso il “pensarci sopra” diventa anche un alibi per la mia atavica insicurezza, che trova così una motivazione razionale nel mettermi i bastoni tra le ruote.
      Siamo culturalmente troppo influenzati dal “secolo dei lumi” per agire diversamente; però, ogni tanto, fa bene realizzare che il nostro cervello è molto potente ed è in grado di fare cose incredibili, nel bene e nel male.
      Grazie del solito e acuto passaggi, Stefano! 😉