Il fine non dipende dal mezzo

On 07/06/2016 by Nicola Focci
HCB e la sua Leica

HCB e la sua Leica M3, 1957 (lab.leica-camera.it)

E’ noto che Henri Cartier-Bresson utilizzasse una Leica a telemetro.

E’ scontato ma non meno importante, però, che utilizzasse anche le mani, i piedi, la “pancia”, gli occhi, e soprattutto il cervello. 

Se acquistiamo una Leica a telemetro perché la usava HCB o per somigliare ad HCB, avremo una sola certezza: quella di aver speso un sacco di soldi.

Caccia alla strumentazione

Questo genere di spinta all’acquisto, però, non è affatto raro.

Non credo sia un caso che i forum di fotografia siano tartassati da domande come: “Che macchina usava [nome di un grande maestro]?”. Tipicamente, il topic continua con lunghe discussioni sulla Kobel di Mario Giacomelli, la biottica Mamiya di Diane Arbus, la Ricoh 35mm di Daido Moriyama…

E tutto questo perchè?

Perché si pensa: “eh caspita! se lui ha usato sempre e solo quella data fotocamera, un motivo ci sarà!”.

Adeguato all’uso

A me però sembra del tutto normale che un artista sia innamorato del suo strumento e ne faccia una sorta di spilla da agganciare sul bavero.

Accade anche nella musica: pensate alla Fender Stratocaster di Jimi Hendrix, alla Gibson ES-335 “Lucille” di B. B. King, alla Fender Telecaster (anzi Esquire) di Bruce Springsteen…

Come mai? Beh, all’artista non frega nulla di provare centomila strumenti diversi: questa è una malattia tipica di noi “amatori”. A lui frega di trovarne unoquello che è finalizzato ad esprimere la sua poetica. Quando l’ha scovato e gli calza come un guanto (e modella il suo stile), si ferma lì… e se lo fa bastare.

Che poi tale strumento sia anche di ottima qualità e costoso, è un “di cui”… ma non una condizione imprescindibile.

Lo abbiamo scritto: la qualità è l’adeguatezza all’uso… non altro.

Solo una scatola!

C’è una bella intervista dello stesso Giacomelli, in cui egli mostra un certo pudore nel parlare della sua fotocamera: “è solo una scatola”, “ci metto il film che trovo”, “mi sembra che ne faccia dieci, non dodici”

Leggendola, mi pare di capire perché: Giacomelli intuisce che l’intervistatore insiste (volutamente o meno) per conoscere gli aspetti tecnici; ma lui è un poeta… e gli interessa molto di più l’aspetto espressivo del suo lavoro – il “cosa”, più che il “come”. In quella parte di intervista, quindi, Giacomelli di fatto demolisce il suo stesso strumento (al quale peraltro era legatissimo).

E questo perché, come diceva Marcel Duchamp: non è la colla che fa il collage.

Serendipità

E poi vabbé, magari determinate scelte di strumentazione possono anche essere frutto del caso o del momento storico. Mica detto che siano premeditate!

Immaginate Cartier-Bresson che, negli anni ’20, entra in un negozio di fotografia a comprare la sua prima 35mm.

HCB: “Salve, vorrei una reflex Nikon”

Negoziante: “Spiacente, Henri, ma… non le hanno ancora inventate!!”

HCB: “Ah già!… e allora che ne dice di una bella Contax?”

Negoziante: “Le ho finite! Sa, vanno via come il pane…”

HCB: “Uhm… cosa mi propone, allora?”

Negoziante: “M’è giusto giusto arrivata ieri questa Leica…”

E lui se la porta a casa.

In seguito, se la fa bastare. Se calza come un guanto, perché cambiare?

La maglia di Steve

Intendiamoci: sperimentare tanti strumenti è piacevole e divertente (ammesso di avere tanti quattrini per farlo). Ma la vita è pur sempre una sola!, e il nostro tempo non è illimitato.

A mio parere, l’approccio che dovremmo avere verso la fotocamera è un po’ lo stesso che manifestiamo verso le marche e tipologie di vestiti. Quando abbiamo trovato quello che ci piace e ci “caratterizza”, perché cambiare?

Ricordate il famoso dolcevita nero di Steve Jobs? Come è noto, lui indossava sempre e soltanto quello. Ma non era, la sua, una sorta di ossessione feticistica. No: Jobs semplificava le sue scelte di vestiario… veicolando su cose più importanti quel tempo e quell’energia che ogni mattina sprecava nel decidere cosa mettersi.

Steve Jobs era un genio; ma del resto saremmo ridicoli se ci convertissimo tutti al dolcevita nero solo perché lo indossava lui! (O peggio nella speranza di diventare come lui).

In definitiva

Per arrivare al cosa, partiamo dal “perché” (cioè dalle nostre esigenze e da ciò che vogliamo esprimere) e non dal “chi” (cioè dai nomi di utilizzatori di quell’oggetto del desiderio) o dal “cosa” (l’oggetto stesso).

3 Responses to “Il fine non dipende dal mezzo”

  • Certo, non c”è nessun campo come la fotografia dove lo strumento finisce per catalizzare l’attenzione maggiore. Non nego che è anche divertente e magari interessante dal punto di vista storico-ingegneristico, ma dopo un po’ bisognerebbe evolvere e superare questo aspetto. Hai fatto l’esempio di HCB che compra una macchina fotografica, ora immagina che incontri Capa di ritorno dal fronte e gli chieda: “Ma alla fine in Normandia quando ti hanno rovinato quei rulli, li avevi scattati con la contax o con la leica?” Sarebbe ridicolo. Il mezzo è appunto un mezzo, qualche cosa che ci piace usare ci da soddisfazione ma pur sempre uno strumento.

    • Incontri tra titani! Molto ben detto, Domenico: grazie del commento!

  • Eppure i forum e le pagine fb sono ricche esclusivamente di recensioni alle macchine fotografiche che manco Quattroruote, gli utenti postano le immagini scattate con il cellulare ai loro ultimi acquisti (a volte anche solo alla scatola…) oppure una foto inutile fate a migliaia di iso con la D5 e il commento “non male sta D5 :p “….. Non nego che il fascino e la voglia di provare qualcosa di nuovo sia irresistibile e che spesso si pensa di colmare lacune e frustrazioni con il mezzo migliore dotato di 150 punti di messa a fuoco per poi usare quello centrale. Capisco questo fascino: lo subisco pure io, però per i “ferri” d’epoca… ed è quasi peggio! 😉