Condividere le mie stampe sui social? Non ce la faccio…

On 19/07/2016 by Nicola Focci
(Fonte: Mashable.com)

(Fonte: Mashable.com)

Chiamatemi snob (ed avete anche ragione), ma io proprio non ce la faccio, a condividere le mie stampe sui social network; sebbene mi renda perfettamente conto di quanto essi rappresentino un terreno di compartecipazione fenomenale.

Lasciando perdere Facebook (per il quale non nutro grandi simpatie, essendone uscito ormai da un anno dopo una “militanza” che durava dal 2009) trovo che Instagram e Twitter siano fantastici… grazie alla possibilità di raggiungere un gran numero di contatti, e l’uso degli hashtag per caratterizzare il proprio lavoro con opportune parole chiave.

Solo che… l’idea di scansionare una mia stampa e “darla in pasto” a questi sistemi sociali, continua a ripugnarmi – da alcuni anni a questa parte.

Pigrizia

Intanto – ma non principalmente – è un problema di pigrizia.

Una delle belle cose dell’analogico, è quella di non aver più a che fare con menate tipo fotosciòp, curve, livelli, maschera di contrasto, DPI, risoluzioni, strumento “clona”, strumento “ripara”, taratura del monitor, e chi più ne ha più ne metta.

Se scansiono la stampe, devo tornare ad occuparmi di queste seccature… ed anche no, grazie.

Io sono per complicarmi la vita il meno possibile: se ho preso una strada, preferisco mantenerla.

Atteggiamento protettivo

Poi, e direi principalmente, mi trovo ad operare una sorta di difesa delle mie stampe.

Verso di esse, infatti, io ho uno spasmodico atteggiamento protettivo: non solo fisico (le maneggio solo con i guanti di cotone, le mantengo in scatole acid-free…) ma anche emotivo.

Tendo a proteggerle… quasi come se ciascuna di esse fosse un figlio… al quale – come dice un proverbio indiano – bisogna dare al tempo stesso le radici e le ali.

Io non ho figli; ma come cerco spesso di spiegare a quelli che “tu parli così perché non hai figli”, a mia volta sono stato un figlio… quindi una certa esperienza, sulla mia pelle, ce l’ho. Se da un lato sono convinto che i figli debbano poter fare la loro strada, dall’altro sono altresì convinto che sia nostro dovere veicolare tale strada. Li dobbiamo proteggere, allontanare dai terreni minati, consentire che essi possano sempre valorizzare al massimo le proprie qualità.

E’ per questo che non mi va di dare in pasto una stampa – ottenuta con tanto lavoro, a prescindere dal fatto che sia “valida” o meno – ad un tritacarne sociale su internet. Non trovo sia un ambiente “degno”. E’ come se in quel tritacarne ci buttassi anche un pezzo di me stesso.

Forse è anche una questione di soggetti: facessi street photography, magari sarebbe diverso! Ma per il tipo di fotografie che faccio e per il tipo di significato che intendo dare, pretendo un luogo di fruizione che sia adeguato ed all’altezza della dignità che ritengo queste fotografie abbiano.

E questo il motivo per cui sto imbastendo il progetto del libro fotografico…

A ognuno la sua via

So di rinunciare ai “mi piace“, alle pacche sulle spalle virtuali, al numero di followers a 4 cifre.

So di rinunciare a molta visibilità, e quindi anche a qualche opportunità.

So di passare per snob.

Ma sia chiaro che non intendo certo biasimare che si impegna a scansionare e pubblicare i propri negativi e le proprie stampe!

In definitiva, anzi, il bello della fotografia (e dell’arte in generale) è che ciascuno trova la propria via, e questa via non è mai né giusta né sbagliata, ma è importante che sia “propria”.

Come sempre, il tempo saprà dire quanto tale scelta si sia rivelata efficace.

5 Responses to “Condividere le mie stampe sui social? Non ce la faccio…”

  • Ciao Nicola,
    Come prima cosa mi viene da pensare che ogni scelta vada sempre rispettata e quindi nulla dire in merito. Eppure noto che non sono il solo a sceglire la via diciamo “più nascosta”, sono ancora presente in molti social ma la mia attività ultimamente è molto poco social: ad esempio su FB non sto più mettendo foto semplicemente perché il “mi piace” mordi e fuggi non mi interessa più. Poi, come tu dici, bisogna dare al tempo stesso le radici e le ali…. Ed è un concetto che condivido molto anche se io invece i figli li ho 😉
    In ultimo mi trovo vicino al tuo pensiero nonostante io faccia molta street photography (termine orribile). La fotografia per me è troppo importante per vederla vilmente usata e abusata sui social come fosse un prodotto industriale usa e getta. Non condivido la logica del “mi piace” distrattamente buttato lì e avanti col prossimo. La fotografia diviene così un prodotto del consumismo più sfrenato. No, preferisco che si ci si faccia un’idea attrverso internet, ma se poi vuoi davvero godere della fotografia ci si sieda davanti ad un tavolo e si guardino le stampe, by the way conservate anche da me con i canoni dell’archivio fotografico: ogni stampa è per me un pezzo della mia storia che non voglio buttare via con una cattiva conservazione o stampa. Quindi rispetto miolto e condivido il tuo punto di vista.

    • Grazie mille Domenico, speravo in tuo commento! 😉
      E mi fa molto piacere avere il “conforto” di chi la pensa come me.
      Forse il nostro pensiero deriva proprio dall’approccio analogico… laddove la stampa è ancora molto ma molto importante, e va ancora gustata nella sua fisicità.
      Ad esempio io penso che la dimensione sia cruciale, e quella non puoi valutarla su un monitor. Una stampa “piccola” ha un significato intimo molto preciso… che penso sia impossibile da rendere su un display.
      Per dirne un’altra, quando andai a Modena alla mostra di Edward Weston, appresi che quella dimensione – sempre piuttosto contenuta – era dovuta alla stampa a contatto e quindi era proprio la stessa dei negativi: nessun ingrandimento. E’ una considerazione che insaporisce non poco l’esperienza visiva.
      A parte questo, comunque, temo anche io che la fotografia sia ormai vissuta in modo estremamente consumistico (pensa al fenomeno del “microstock”!). Se può andar bene per qualcuno, di sicuro non va bene per noi “analogici”… che facciamo della lentezza e della cura (e oserei aggiungere dell’artigianalità) un aspetto essenziale e vitale della nostra passione.

      • Vidi anche io quella mostra a Modena e ne rimasi molto impressionato. Concordo sulla lentezza e sul formato, mi capitò di vedere delle stampe di Kenna che pure usa un 6×6 a contatto e quando gli chiesi il motivo di tale scelta mi rispose che voleva che le persone si avvicinassero non che si allontanassero. In effetti spesso io voglio avvicinarmi al mio soggetto allora perché dovrei allontanare il mio spettatore? Purtroppo viviamo in un mondo dove il monitor (piccolo o grande che sia) sembra aver sostituito la passione e il godimento che si ha nel vedere una stampa ben realizzata… Ma in fondo spesso anche i galleristi ti vendono foto in formati così grandi che vien da chiedersi se il prezzo lo fammo a metro quadro piuttosto che sulla foto… Come se la foto sia un sostituto del LCD 50″ che si tiene in salotto. Una piccola considerazione magari poco pertinte ma che mi fa ritenere ancora che se la fotografia è un arte allora merita un processo artigianale a meno che non si sia interessati solo all’idea, in tal caso un qualsiasi psedo Andy Warhol (senza nulla togliere all’autore) fatto a computer va bene.

  • Ciao Nicola,
    vedo che hai ripreso a scrivere qui!

    Concordo completamente la tua posizione sui social. Non sono il posto giusto per condividere un lavoro fotografico lungamente pensato e lentamente realizzato con una catena analogica.
    Soprattutto per chi ha la fortuna di non dover/voler vivere di fotografia. Oggi i professionisti devono turarsi il naso e andare sui social….

    Resta da chiedersi se vale la pena allagargare in qualche modo la condivisione. Francamente, mi piacerebbe vedere le tue foto stampate (il risultato del Giappone mi incuriosisce molto!). Mi chiedo se ci potrebbero essere dei modi per rendere fruibili in rete le proprie foto, ma in un “ambiente protetto”. Dove poter avere uno scambio il più possibile costruttivo e vicino a quello del mondo “reale”. Ma forse parla la mia curiosità!

    • Mi domando anche io se possa esistere un luogo di fruizione non così “contaminato” come i social! Anche se resto perplesso sulla mancanza di filtro, che è una caratteristica – nel bene e nel male – della rete. Ho paura che anche i luoghi inizialmente meno inquinati, finiscano in breve per riempirsi di monnezza.
      Vero è che, come dici tu, i professionisti devono spesso “turarsi il naso”. Dubito che qualunque logica di business possa oggi esistere, al di fuori della rete. A meno che tu non sia Scianna o Berengo.
      Le mie foto del Giappone, mah… fatico a capirle anche io!, e per questo aspetto a pubblicarle. Ma ne scriverò un articolo di sicuro…