FP4, Woodman, Fontana, e figuracce

On 09/12/2016 by Nicola Focci

Nell’ambito del “365 project” che sto tenendo sul mio Instagram, ho pubblicato qualche tempo fa questa immagine:
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Questo progetto è in sostanza il “diario di un anno” attraverso uno scatto al giorno; e lo scatto ritrae il frutto di una mattina di shopping in centro nella mia città (Bologna).

Benché io abbia acquistato anche altre cose (un libro sul design, un pennello di pelo di martora, un vinile di John Coltrane…) ho fatto solamente quella fotografia lì.

Un inatteso commento

La foto è quindi rimbalzata – grazie all’ennesimo e ottimo automatismo di If-This-Then-That – sul mio profilo Flickr, dove mi è stata posta questa domanda:

C’è qualcosa che accomuna Francesca Woodman alla FP4+?

E qui, lo confesso, sono rimasto un po’ spiazzato. Perché l’intento che volevo perseguire con questa fotografia, era per me scontato… E invece:

Nel senso che è una pellicola che usava lei?

Vivere fotografia

Diciamo di no: dubito esista un legame tra Francesca Woodman e questa pellicola. Non che io sappia, almeno! Non so quali tipi di emulsioni usasse lei, e sinceramente trovo la cosa del tutto irrilevante.

Ciò che io volevo esprimere con quell’accostamento, l’ho poi spiegato meglio in risposta al commento:

Volevo dire che, per “vivere” fotografia, ci vogliono i libri e le pellicole; ossia, lo “studio” dei maestri, e la pratica.

Solo con lo studio, infatti, sei uno studioso ma non un fotografo.

Solo con la pratica, non hai spunti di miglioramento né termini di paragone (finisci per auto-referenziarti).

(Per noi analogici, ovviamente, la pratica si estende anche in camera oscura!)

Autocritica

Avrei voluto scrivere: “eh vabbé, però non stiamo sempre lì a guardare il dito che indica la luna anziché la luna stessa!”. Però subito mi son detto: no, invece devo fare autocritica. Perché a volte siamo molto meno chiari ed esaustivi di quanto pensiamo di essere.

Non possiamo sempre pretendere che ragionino tutti col nostro cervello; e se il nostro messaggio non arriva, bisogna per prima cosa guardare dentro noi stessi.

Vale anche per le nostre fotografie, naturalmente.

Studio eclettico

Tornando allo studio, questa riflessione mi innesca (a mo’ di tessere del domino) un’altra considerazione: l’equilibrio tra ricerca e pratica è spesso eccessivamente sbilanciato verso la pratica.

Se proprio si acquistano dei libri, sono prelevati dallo scaffale della manualistica… e non da quello dei “maestri”. E vi faccio notare che chi scrive è proprio l’autore di un manuale, quindi vado pure contro il mio interesse! Ma ci credo davvero: l’amore per la fotografia passa anche (se non soprattutto) attraverso le fotografie.

Bisogna guardarne tante, di autori molto diversi… per fare sì che il nostro stile “rubi” (e non “copi”, come diceva Picasso) ora da questo ora da quell’altro, e si arricchisca in modo prezioso.

Figure epiche

Lo studio degli altri fotografi, poi, ci porta anche ad evitare la pericolosa convinzione d’aver scoperto l’acqua calda… e le figuracce che inevitabilmente ne conseguono.

A questo proposito, ricordo un’epica lettura portfolio in un ottimo fotoclub della mia città, cui io e il mio amico Fabio partecipammo col nostro progetto sul Museo della Memoria di Ustica.

C’era anche un ragazzo giovane, carico di sicumera e di venti stampe digitali a colori.

Queste stampe raffiguravano quasi solo panorami dai colori uniformi con stacchi molto netti. Ad esempio un prato verde quasi in tinta unita, con un albero giallo netto al centro oppure un cielo blu – sempre con linee di separazione piuttosto decise. Immagini molto minimal-pittoriche, insomma.

Per stampare queste foto, il ragazzo era andato nientepopòdimenoche da: Arrigo Ghi. Proprio lui!, non uno stampatore qualunque, ma quello di Luigi Ghirri e Franco Fontana. Il risultato – ça va sans dire – era perfetto. Di una monotematicità micidiale, ma perfetto.

Il moderatore della lettura portfolio era un fotografo molto competente e dotato di ottimo gusto. Prese le venti stampe, ed iniziò a rigirarle tra le mani, in totale silenzio, per diversi minuti.

Io e Fabio ce ne stavamo zitti e pure un po’ atterriti. Il ragazzo, invece, aveva lo sguardo sicuro e soddisfatto di chi ha sbirciato anzitempo il suo nome nella busta del vincitore dell’Oscar… e ascolta la proclamazione mentre flette i muscoli per precipitarsi sul palco.

Ma anziché “…and the winner is…”, il moderatore all’improvviso disse solo:

Beh, ma… queste fotografie sono praticamente copie di quelle fatte da Franco Fontana!

…Silenzio…

…Un grillo cantò in lontananza…

…Il sole scese lentamente sull’orizzonte…

…E il ragazzo, con aria contrariata e perplessa, disse:

E chi cacchio sarebbe, questo Franco Fontana?

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