Sul digitale, l’analogico, e la destinazione d’uso

On 04/03/2017 by Nicola Focci
Alba invernale a Jano, HP5+ 400 ISO medio formato in R09 1+50

Alba invernale a Jano, HP5+ 400 ISO formato 120, R09 1+50, scansione da stampa su carta baritata

Qualche tempo fa, durante la pausa pranzo, un collega mi ha chiesto come mai fotografassi in analogico.

Visto che il digitale è così comodo…

Se da un lato parlo volentieri di questo argomento (ci ho pure scritto un libro!), dall’altro vi approccio sempre con un po’ di perplessità, perché sono quasi sicuro che le mie argomentazioni non convinceranno del tutto coloro che hanno un approccio “tecnico” alla fotografia. Per inciso, il collega è un programmatore software.

Sia quello che sia, mi sono leggermente dilungato a spiegargli i vantaggi dell’analogico dal mio punto di vista (come poi ho più volte scritto anche in questo blog). Ma siccome è un collega, ho ricondotto il mio ragionamento ad un concetto che è centrale nell’ambito dei dispositivi medici (quello appunto in cui lavoriamo) ossia: “la destinazione d’uso”.

E gli ho ribadito che, a mio modesto avviso, non esiste un concetto assoluto di fotografia: esiste solo in funzione di ciò che se ne vuole fare.

Nel mio caso, la “mitica lentezza” dell’analogico mi consente di “ruminare” meglio lo scatto, sia prima di premere il fatidico pulsante, sia dopo. Senza contare la mia personale necessità a toccare qualcosa di fisico, concreto.

Dunque, gli ho detto, preferisco questo approccio non perché garantisca risultati oggettivamente migliori, ma perché mi rende piacevole e gratificante il fare fotografia nel modo in cui la intendo io… cosa che, quando ci son di mezzo le passioni, credo sia determinante.

Come sospettavo, la sua risposta è stata:

No!, non mi hai convinto.

Mi aspettavo dei ragionamenti più tecnici!

Mi aspettavo che mi dimostrassi la superiorità qualitativa del mezzo analogico sul digitale!

E… come si fa? 

Una tesi assoluta di quel tipo, beh… credo non sia proprio dimostrabile.

Certo: potevo buttarmi sui confronti dimensionali… e far presente come il tanto celebrato full frame sia, in ambito analogico, un formato molto piccolo. O ancora, potevo citargli articoli di chi s’è lanciato a fare paragoni prettamente tecnici (questo di Petapixel è abbastanza famoso) per la serie “il weBBe dice”

Ma sono convinto che la bellezza dell’analogico risieda in un fatto che con la tecnica pura ci azzecca relativamente. E’ una questione di approccio al risultato finale desiderato, non di risultato finale in sé.

E’ per via della serie di elementi contestuali (la parsimonia legata a 36 o meno scatti per rullino, la fisicità di maneggiare un supporto, l’emozione di appendere una stampa appena uscita dalla bacinella…) che non hanno molto a che vedere con la risoluzione e le linee per millimetro. Anche se, e ne sono convinto, questi elementi sono tutt’altro che accessori ai fini del risultato finale… e cioè possono fare la differenza tra una fotografia che non dice nulla, ed una che invece racconta. Giusto per fare un esempio ovvio ma non banale: scremare 36 scatti è ben diverso da scremarne 360 o più; e, spesso, la capacità di giudizio si “anestetizza” di fronte a troppa roba da giudicare.

Tutto questo, però, è fortemente condizionato dalla “destinazione d’uso” – come scrivevo prima. Ed al collega l’ho detto chiaramente: se fossi un fotogiornalista, forse non potrei permettermi (per motivi logistici, pratici, e di efficacia) l’uso della pellicola.

L’importante credo sia conoscere ed informarsi bene su entrambi i mondi, senza pregiudizi, e senza eliminare automaticamente uno dei due sulla base di considerazioni esclusivamente tecniche o – vorrei dire – populistiche.

Senza mai dimenticare la parola d’ordine: destinazione d’uso!

5 Responses to “Sul digitale, l’analogico, e la destinazione d’uso”

  • Sono d’accordo, un mese fa ho “riesumato” la mia fedele Nikon F3 e mi sono scattato un bellissimo rullino di Velvia 50.
    La prossima volta userò la F2
    Viste le Dia con il vecchio proiettore (che per fortuna non avevo rottamato) mi sono accorto che tra le Dia e le proiezioni ottenute con un videoproiettore digitale dei file JPEG c’è una differenza enorme a favore della qualità delle Dia.
    Se proprio serve posso sempre leggere le Dia con il mio apposito scanner.

  • Quando mi chiedono perchè uso la pellicola, io premetto subito che la scelta esula dalla qualità in senso stretto. L’unico aspetto “tecnico” che mi sento di sottolineare è economico. L’analogico, per un appassionato, costa meno a parità di qualità (visto che i costi “variabili” sono diversi rispetto a un professionista che fotografa 8 ore al giorno tutti i giorni).

    Per il resto, come giustamente dici, la preferenza si basa su altro. Per quanto mi riguarda, pesa molto il semplice piacere d’uso del processo analogico (come preferire la bicicletta all’automobile, la barca a vela al motoscafo).

    Se per caso non l’hai ancora letto, ho trovato qualche spunto interessante in questo articolo http://www.internazionale.it/opinione/oliver-burkeman/2017/03/07/analogico-ritorno

    devo cercare il libro di cui si parla.

    • Grazie del commento, Stefano: condivido in pieno. Anche sulla faccenda dei costi!, che nel caso di un appassionato non è né scontata né banale.
      Il libro sembra proprio interessante: l’ho messo nella lista dei desideri Amazon…
      Davvero ottimo anche l’articolo. Confesso che pure io, spesso e volentieri, provo un certo piacere feticistico nell’usare la graffettatrice… 😀

  • Premesso che scatto, sviluppo e stampo solo per passione e piacere personale amo quindi dilatare nel tempo il processo creativo ed inoltre “complicarmi” la vita con esposimetri esterni, messa a fuoco manuale etc non fanno che darmi maggior piacere nell’ottenimento di un risultato (per me) piacevole ed appagante. <Ma se sbagli la foto? Se l’esposizione non è corretta? Se et…> Beh: pazienza: non ci devo pagare la rata del mutuo con quelle stampe. Ovvio dipendesse il sostentamento dei miei 3 figli da quelle fotografie ovviamente ragionerei con l’assunto del minimosforzo+massimorisultato ma così (per fortuna) non è. A chi mi chiede faccio spesso questo esempio: per lavoro faccio moltissimi km in auto e per questo ne cerco una sicura, comoda e parsimoniosa anche se non proprio “eccitante” ma se ci dovessi fare solo 20-30 km alla domenica vorrei una bella auto anni ’70 con tutti i suoi difetti e le sue precarietà 🙂

    • Esatto Stefano!, concordo pienamente col tuo paragone dell’autovettura.
      Ricordo un collega di mio padre che faceva l’agente di commercio da 60mila km annui, e pensò di usare una Y10 “perchè tanto l’auto deve avere 4 ruote, un motore, un volante”. Risultato: schiena a pezzi.
      La professione cambia sicuramente le cose.
      Per questo motivo, credo che bisognerebbe sempre parlare di “fotografo professionista” e non di “fotografo” e basta… senza cioè dare per scontato che tutti i “fotografi” siano anche dei professionisti e lo facciano per mestiere. Mario Giacomelli aveva la sua tipografia, ma nessuno si sognava di dire che non fosse un fotografo…