Non facciamo come Jim Fixx

On 19/02/2015 by Nicola Focci

jim-fixx

Il mio scopo?

Primo, introdurvi nel magico mondo del running.

Secondo, cambiare le vostre vite.

(Jim Fixx, introduzione di “The complete book of running”)

Disclaimer: questo articolo è alquanto off-topic. O forse non più del solito!

Per vostra fortuna, è anche piuttosto breve… 😉

Di tutti gli esempi su come la vita sia imprevedibile e le nostre armi spesso si ritorcano contro noi stessi, quello di James Fuller “Jim” Fixx mi sembra altamente illuminante.

Visto che l’arte è parte della vita, non meravigliamoci se tutte le nostre sicurezze (l’attrezzatura, le competenze tecniche, le foto che ci hanno pubblicato, i riconoscimenti che abbiamo ricevuto…) non ci proteggono da scivoloni colossali e magari pure “mortali”.

La moda del running

Se siete mai stati a New York (ma basta guardare i film hollywoodiani) avrete sicuramente notato che in Central Park corrono tutti come matti. Ma sul serio: tiri un sasso, e prendi uno che sta facendo running.

Ebbene, fu Jim Fixx (nato proprio a New York nel 1932) ad aver introdotto questa moda, grazie al suo bestseller “The complete book of running”, pubblicato nel 1977.

Ha venduto oltre un milione di copie: tantissime, per un libro di non narrativa.

La copertina è un selfie delle gambe muscolose di Fixx… che aveva iniziato a correre dieci anni prima, quando pesava 110 chili e fumava due pacchetti di sigarette al giorno.

Come un brano della Morissette

Jim Fixx non è più tra noi: è morto nel 1984 all’età di 52 anni.

Mentre stava facendo running.

Ebbene sì: dopo aver scritto cinque libri sulla corsa e completato diverse maratone, Fixx è stato stroncato da un infarto lungo la statale dove si stava allenando. Sembra un verso della bellissima canzone “Ironic” di Alanis Morissette, eppure è proprio vero.

Ma le vere sorprese vennero dall’autopsia[1]: Fixx aveva una coronaria completamente bloccata, e un’altra chiusa all’80%. Insomma, non si trattò di una fatalità. Anche se aveva perso peso e smesso col fumo, l’esercizio continuativo non poteva sistemare una evidente predisposizione di origine genetica… peraltro evidenziata dal fatto che il padre ebbe un primo infarto a 35 anni e morì a 43.

Fixx ne era ovviamente ben consapevole. Ma era sicuro dei suoi sforzi. Era sicuro che il running gli avrebbe impedito di fare la stessa fine.

Qualcuno ha detto che, infondo, non aveva tutti torti: ha vissuto nove anni in più del padre…

Nessuno mette il DNA in un angolo

Insomma: per quanto noi ci si adoperi “registrare” la nostra vita e ci si doti dei migliori mezzi a disposizione, restiamo quello che siamo in base al DNA.

Niente e nessuno potrà cambiare questo aspetto; nemmeno la volontà più ferrea, ahimé.

Credo, quindi, che la nostra vita (artistica e non) debba in primis partire da qui: ciò che siamo, il nostro essere intimo. Le nostre forze e le nostre debolezze… Senza cercare di convincerci che possiamo diventare altro – grazie a uno strumento o una prassi o un modo di essere più o meno forzato.

Peraltro, ci sono due ottime e pratiche ragioni per far sì che sia così:

La prima, è che noi siamo sempre disponibili (come diceva Francesca Woodman parlando della sua attitudine all’autoscatto) ed è quindi più facile partire da noi stessi: non dobbiamo inventarci nulla.

La seconda ragione, è che alla fine la vita vince sempre – nel bene e nel male:

Beh, la vita ha uno strano modo di sorprenderti alle spalle,
quando pensi che tutto sia a posto e che tutto vada per il meglio.
E la vita ha uno strano modo di venire in tuo aiuto,
quando pensi che tutto ti stia andando storto e che tutto ti esploda in faccia.

(Alanis Morrisette, “Ironic”)

[1] http://www.marathonandbeyond.com/choices/emmett.htm

One Response to “Non facciamo come Jim Fixx”

  • La cosa non è anadata proprio come viene descritta nel suo post…
    Jimmy Fixx, il padre del jogging se avesse consultato un medico, sicuramente glielo avrebbe proibito e non sarebbe rimasto vittima della sua scoperta. Era un giornalista sportivo, obeso e gran fumatore, che scriveva per Life; iniziò a correre per caso, per rifare i muscoli dopo mesi di inattività a causa di un infortunio e non smise più.
    A chi gli chiedeva perché corresse, “perché è bello”, rispondeva, “mi rende ottimista, più calmo, meno ansioso, perché riesco a concentrarmi più a lungo nel lavoro e perché ho conquistato un miglior controllo della mia vita”.
    Col libro divenne ricco e famoso, si trasferì a Riverside, nel Connecticut, dove studiò gli effetti della corsa in percorsi fissi e programmò il suo secondo libro.
    La realtà era un po’ diversa. A trentacinque anni Fixx cominciò ad essere ossessionato dall’infarto perché suo padre, redattore di Times, a quell’età era stato colpito da un attacco cardiaco assai grave.In un check-up cardiologico, Jimmy era stato giudicato “ad alto rischio” per la pressione alta, il cuore ingrossato, l’ipercolesterolemia, il sovrappeso, e i segni di arteriosclerosi, conseguenze della vita stressante e sregolata che aveva sempre condotto.
    Si mise in riga, non fumò più, perse molti chili e si impegnò a fare tutto il possibile per sottrarsi al destino di suo padre.Con soddisfazione, dopo sei mesi rilevò che i fattori di rischio coronarico erano diventati meno minacciosi, si sentiva molto meglio e pensò di far conoscere la sua esperienza ai tanti nelle sue stesse condizioni, scrivendo il libro che gli dette fama.
    Pensò di avercela fatta, rallentò i controlli e le altre norme di prevenzione, dicendo che il jogging era il medico che l’aveva salvato e che correndo aveva risolto tutti i suoi problemi (errore), il resto lo conosciamo.
    Nel referto autoptico è scritto: morte improvvisa cardiaca dovuta a grave arteriosclerosi delle arterie coronarie. La sinistra era occlusa al novantanove per cento, gli altri due rami principali all’ottantacinque e al cinquanta per cento. Nel miocardio vi erano cicatrici, segno di pregressi infarti: due di vecchia data, ben guarite e una recente che risaliva ad un attacco di poco più di un mese prima.
    Il racconto della moglie confermò i rilievi: ricordava che nel marzo del 1980 Jimmy aveva sofferto dei classici sintomi dell’infarto, dolore, sudorazione fredda, spossatezza, ciò nonostante si era rifiutato di consultare il medico. Nell’estate dello stesso anno, dopo una corsa, identici disturbi erano ricomparsi a Falmounth e neppure quella volta fece controlli.
    Mentiva a se stesso e agli altri dando le più diverse e irragionevoli spiegazioni sui disturbi: pollinosi, cattiva digestione, colica epatica, dolori artrosici. Non fece cure, intensificò l’attività sportiva arrivando a correre fino a centosessanta chilometri alla settimana. Il jogging era diventato una fissazione, un invasamento ossessivo, esaltato dal sempre crescente successo dei suoi scritti, delle sue conferenze e dal numero dei seguaci.
    Gli amici lo definivano fanatico, la prima moglie, con comprensibile disappunto, diceva che era uscito di senno: “Non vedeva altro che corsa, allenamenti e pubblicità. Non era più prevenzione né sport, ma solamente una continua folle fuga: il jogging l’ha ucciso come aveva ucciso il nostro matrimonio”.
    Nel giorno in cui morì, aveva da poco compiuto quarantotto anni, aveva guidato l’auto per molte ore e appena arrivato, nonostante il grande caldo, si era messo in tuta ed era partito per la sua ultima corsa.
    È stata fatta dell’ironia sulla sua fine, ma il jogging, la sua creazione, è rimasta; milioni di americani considerano James Fuller Fixx un eroe, un mito, come il soldato di Maratona.
    La dottoressa McQuillen che eseguì l’autopsia disse: “Non credo che sia stato il jogging a causare la sua morte, credo piuttosto che il jogging lo abbia aiutato a prolungare di parecchi anni la vita a sua disposizione, drasticamente segnata dai danni causati dalle pessime abitudini di vita dei suoi primi trentacinque anni”.
    Molti cardiologi concordarono che la sua invenzione gli aveva regalato almeno cinque anni di vita rispetto a suo padre.
    Fixx è esemplare in positivo, per aver divulgato gli effetti benefici della corsa, e in negativo perché ha pagato con la vita la pratica maniacale della corsa senza adeguati controlli.