La lezione degli scacchi
Alcuni anni fa mi sono messo in testa di imparare il gioco degli scacchi.
Come spesso faccio in questi casi, sono partito a testa bassa. Ho acquistato diversi libri; ho iniziato a studiare approfonditamente attacchi e difese; ho comprato uno di quei piccoli computer di gioco per esercitarmi; ho iniziato diverse partite on-line su un sito di appassionati.
Avevo una gran fretta di arrivare a un buon livello, e mi impegnavo molto. Quando le partite on-line finivano in sonore batoste (e capitava spesso), le ristudiavo, per capire cos’era andato storto. Ho iniziato a frequentare un corso (prendendo altre batoste da “allievi” più scafati). Portavo a letto il piccolo computer e mi addormentavo studiando le mosse.
Dopo diversi mesi, però, erano più le frustrazioni che le soddisfazioni.
Sì, avevo imparato a memoria quella determinata apertura o quella determinata difesa; ma continuavo a perdere… spesso in modo per me incomprensibile. Mi sembrava di fare tanta fatica, per ottenere pochissimo. Lo studio sembrava non finire mai: il medio gioco, il finale, il gambetto… cominciavo a capire la famosa massima secondo la quale <<una sola vita non è sufficiente per gli scacchi>>.
Questa consapevolezza è giunta a completa maturazione un giorno in cui misi il naso dentro ad un circolo. Si stava svolgendo un torneo. Ho aperto la porta, e visto un bimbetto che correva contento verso il padre dicendo: <<Ho vinto! L’ho massacrato in pochi minuti>>. Un cinno (per usare “bolognesismi”) nato quando io avevo già finito l’Università, che di sicuro non aveva speso tempo e soldi e fegato come me, ma che però era un vincente.
E’ stato il colmo delle mie frustrazioni. Ho piantato tutto: libri, corsi, computer portatile… e questo per diversi mesi.
Poi è successa una cosa strana.
Un giorno, più per noia che per altro, ho ripreso in mano il piccolo computer. Ho iniziato una partita senza alcuna velleità (tanto già sapevo di essere una schiappa), per il puro gusto di giocare e basta.
Ebbene: non solo ho vinto; ma è capitato un fatto sino a quel momento non accaduto: mi sono divertito.
Allora ho capito che non ero io ad essere sbagliato (o non idoneo) per gli scacchi, ma era il mio atteggiamento ad esserlo.
Troppa fretta, troppa voglia di avere tutto e subito, troppa impazienza, poca umiltà, poca predisposizione a perdere, obiettivi confusi… tutto questo ha fatto sì che quella esperienza, nonostante l’impegno, sia stata fallimentare.
La fotografia è infondo un po’ come gli scacchi.
Capirne le basi, è semplice. Sì certo, il concetto di tempo e diaframma non è poi scontato per un neofita; così come non lo è il movimento del cavallo, o l’arrocco… Ma in breve diventa tutto chiaro e si può iniziare a giocare. Ed è qui che viene il bello.
E’ qui che bisogna bilanciare tre elementi in modo sensato e intelligente: la pratica, lo studio di quanto è stato fatto prima e da altri, ed i propri obiettivi.
Questi ultimi sono molto importanti. Bisogna capire che spesso il vero confronto non è con l’avversario, ma con se stessi: i propri limiti, i propri tempi, le proprie aspirazioni. E se poi non arriva la consapevolezza sotto forma di una sana secchiata d’acqua gelida (come accadde per me in quel circolo), ogni tanto è comunque necessario fare un consuntivo: da dove arrivo?, a che punto sono?, sono contento di esserci?, dove voglio andare?, è ragionevole?, è ciò che davvero voglio?
Soprattutto, però, Il rapporto tra fatica e gusto non deve mai superare l’unità. La fotografia deve essere divertente! Suonerà strano, ma a volte si è talmente impegnati in un’attività, da non rendersi conto che ha smesso di essere un divertimento!
A volte conviene davvero prendersi una pausa, o, più semplicemente, rallentare. Non ci corre dietro nessuno, e il MoMa può tranquillamente aspettare che i nostri capolavori siano giunti a maturazione (!).
Facciamolo, questo consuntivo.
Lavoriamo su noi stessi, e non ce ne pentiremo.
Come gli scacchi o la scrittura, è una questione di scelta tra una serie di possibilità; solo che, nel caso della fotografia, il loro numero non è finito, ma infinito.
(John Szarkowski)
Bella foto! Come l’hai realizzata? Flash sulla seconda tendina?
No… è un semplice mosso con tempo lento, macchina su treppiede, e niente flash. 😉
Cosa dire? Che lezione mi hai dato Nicola! Pensa che in questo periodo io sono proprio arrivata a quel punto: la scrittura è diventata lavoro, lavoro, lavoro e ha smesso di essere divertente. Non me ne ero accorta, c’è voluto il tuo post per rendermene conto. Quindi grazie, grazie infinite. Ora sono pronta per ricominciare a… giocare a scacchi, divertendomi.
Grazie di cuore a te, Alice! Per essere passata di qua, e le belle parole.
Che dire?, come hai letto pure io ho avuto la mia bella lezione… E t’assicuro che ogni tanto ci ricasco!, mi faccio trascinare dalle cose (la fretta, l’Io, gli obiettivi) perdendo di vista ciò che davvero conta: viverla con passione, ovvero divertirsi.
Sai cosa?, sto leggendo molto sulle filosofie orientali e in questo avremmo tanto da imparare. Ad esempio, nel Tao Te Ching si parla molto del vuoto. È un concetto fondamentale. Il vuoto??, ma siamo matti?, a noi fa paura!… E invece è ciò che ci fa apprezzare il pieno.
La brocca non sarebbe brocca, senza il vuoto che può contenere il vino. Lo spazio tra le note è ciò che rende un brano interessante e gradevole. In una fotografia, lo spazio tra gli elementi è ciò che determina come l’occhio si muove tra essi. E così via.
Tutto questo per dire che dovremmo concentrarci meno sulle cose concrete in quanto tali, e più su ciò che ci permette di assaporarle.
Ammazza che pippone ho scritto! 😉
Grazie ancora.