L’effetto IKEA
Rappresenta un potenziale pericolo anche per il fotoamatore, e infondo ci siamo cascati (e ci caschiamo) un po’ tutti. Ma come suol dirsi: “se lo conosci, lo eviti”.
“Effetto Ikea” è il nome usato da Michael Norton in una ricerca pubblicata sull’Harvard Business Review qualche anno fa, e si riferisce alla situazione in cui la fatica nel portare a termine un’opera finisce per accrescerne eccessivamente il valore.
Il nome mi pare azzeccato. Arrivi a casa con la tua bella scaffalatura nordica, tutta smontata e impacchettata. Ti metti di buona lena – abbondando in olio di gomito – et voilà: il miracolo è compiuto! “Ma quanto è bella?”, “Un gran lavoro!”, “Sono stato bravo, eh?”.
In realtà, olio di gomito a parte abbiamo solo avvitato una manciata di viti, seguendo un schema procedurale preparato da qualcun altro. Non è certo un capolavoro di ingegno.
L’eccessiva stima nelle proprie creazioni, magari solamente perché ci sono costate fatica: ecco il pericolo dell’Effetto Ikea.
E’ quello che ci fa scapinare sino a una pericolosa cengia per scattare la foto del secolo, che a noi poi sembrerà bellissima (con tutta la fatica che abbiamo fatto per scattarla!), ma in realtà è molto meno bella e artistica di quanto vorremmo noi. Solo che noi riversiamo tutta la nostra fatica (e non la nostra visione comunicativa) in quello scatto, che diventa per noi “LO” scatto.
Certo: sapere che Robert Capa rischiò di persona la pelle per portare a casa le famose foto del D-Day, contribuisce di sicuro a rendere ancora più affascinanti quegli scatti. Che però, come abbiamo avuto modo di vedere, sono così emozionanti per l’errore di un tecnico in camera oscura…
Questo, ad esempio, è un frutto del mio personale Effetto Ikea:
Una foto che mi ha fatto litigare con un custode, m’è costata un sacco di tempo per attendere la famigerata “ora blu“, mi ha reso preda delle zanzare che mi hanno divorato, e alla fine della fiera non mi ha poi detto molto – quando l’ho rivista a distanza di tempo.
L’insegnamento dell’Effetto Ikea è abbastanza logico: dobbiamo valutare con distacco oggettivo le nostre fotografie.
Non pensiamo a come le abbiamo ottenute: pensiamo a cosa volevamo comunicare e come lo abbiamo comunicato. Possiamo fare finta che siano state scattate da qualcun altro, e che non si conoscano le condizioni al contorno della loro realizzazione.
Se serve, lasciamo passare un bel po’ di tempo prima di riprenderle in mano, in modo da mettere una certa distanza col momento (e le sensazioni) dello scatto. Del resto, come diceva Matisse:
Un pittore non ha veri nemici, se non i propri brutti dipinti.