Dietro le quinte: ‘Fading Away’ (Henry Peach Robinson)

On 29/03/2013 by Nicola Focci

(“Fading Away” – Henry Peach Robinson)

Un’opera di 155 anni fa ci dimostra che la fotografia è tanto più reale quanto più è costruita?

Nel 1858 – quando l’inglese Henry Peach Robinson realizza “Fading Away” – non esistevano le pellicole che oggi ben conosciamo. L’autore utilizzò la “tecnica all’albumina”: una lastra di vetro veniva rivestita con un sottile strato di albumina liquida (ottenuto semplicemente da un uovo), che, una volta seccato, fungeva da supporto per l’elemento fotosensibile (nitrato d’argento). La lastra veniva quindi esposta con tempi lunghissimi, e stampata per contatto alla luce del sole.

Il soggetto della fotografia è chiaramente rappresentato dalla ragazza morente – forse tubercolotica – circondata dalla desolazione dei suoi familiari: la madre a sinistra, la sorella che le regge la testa a destra, e il padre che guarda sconsolato fuori dalla finestra.

E’ una foto già di per sé interessante (colpisce la differente reazione tra padre e madre) ma vi sono almeno due aneddoti molto istruttivi.

Il primo, è che “Fading Away” destò all’epoca molto scalpore e ricevette molte critiche. Il motivo è legato al tema: la morte. Si poteva affrontare sui dipinti, e infatti la storia dell’arte ne è piena… ma non in una fotografia. Questo perché la fotografia era considerata un mezzo più tecnico che artistico, teso a mostrare la nuda e cruda realtà, e non una sua interpretazione (al contrario di un quadro). Trattare la morte in modo così crudo, insomma, dava fastidio.

Il secondo motivo di interesse è legato alla realizzazione di questa fotografia.

Che si tratti di una fotografia in posa, è piuttosto ovvio. La protagonista, per inciso, era un’attrice professionista con tre anni di esperienza nel mestiere di “modella” per i fotografi.

Meno ovvio è, però, che si tratta di un elaborato fotomontaggio. “Fading Away” è infatti la combinazione di ben cinque differenti negativi: uno per ciascuno dei quattro personaggi, più uno per lo sfondo. Tutti fotografati singolarmente, e poi uniti con maestria da Robinson in un’unica lastra.

Verrebbe spontaneo chiedersi come mai l’autore abbia voluto ricorrere al fotomontaggio: non faceva prima a imbastire la scena e fotografarla una volta sola, con tutti gli attori in posa?

Non avrebbe potuto, e questo per ragioni puramente tecniche, legate al superamento di alcune limitazioni che all’epoca impedivano di ottenere replicazioni fotografiche efficaci della realtà.

In primis, l’emulsione all’albumina non consentiva di fotografare il cielo insieme ad altri particolari, perché era particolarmente sensibile al colore blu, che quindi si imprimeva molto più rapidamente: nel tempo di esposizione corretto per gli attori, il cielo sarebbe risultato completamente “bruciato” e indistinguibile. Secondo motivo: le ottiche utilizzate allora non consentivano la messa a fuoco su piani diversi; il fotografo era quindi obbligato a riprenderli singolarmente, se voleva avere tutti i personaggi in un corretto sharp focus.

Chiudendo il cerchio e finendo questo articolo come lo abbiamo cominciato, è interessante notare cosa scrive Francesca Alinovi (la brillante critica d’arte tragicamente scomparsa nel 1983) nel libro citato nelle fonti: il fotomontaggio non è – come si potrebbe pensare – né una pratica recente, né un espediente da dilettanti. Il fotomontaggio è antico quasi quanto la fotografia, e nasceva come esercizio di maestria tecnica atto a risolvere i limiti nel riprodurre il reale.

La prima fotografia, insomma, riusciva ad essere vera proprio perché artefatta.

 

Fonti:

Francesca Alinovi / Claudio Marra, “La fotografia. Illusione o rivelazione?”, Editrice Quinlan

http://ezinearticles.com/?His-Most-Famous-Photograph-(Fading-Away)—Henry-Peach-Robinson&id=2785850

http://www.historiccamera.com/cgi-bin/librarium2/pm.cgi?action=app_display&app=datasheet&app_id=1646&

http://www.artericerca.com/Testi/Libri%20e%20documenti/Elementi%20di%20conservazione%20e%20restauro%20della%20fotografia%20storica%20-%20Tiziana%20Macaluso%20-%20Silvia%20Zappal%C3%A0.htm

 

2 Responses to “Dietro le quinte: ‘Fading Away’ (Henry Peach Robinson)”

  • a proposito di quest’articolo mi sembrano tutte cose giuste, ma non sono d’accordo sul fatto che nel 1848 quello della morte fosse un tema scabroso di difficile trattazione.
    all’epoca le fotografie post mortem erano naturali e comunemente utilizzate da chi poteva permettersi di andare in un gabinetto fotografico.
    nell’opera di Robinson non è evidenziata la morte quanto il sentimento che accompagna la premorienza. la constatazione di inadeguatezza, ineluttabilità, e il sentimento d ingiustizia di fronte alla legge divina. tutti topoi tristemente comuni all’epoca in ogni famiglia, quando fin da bambini ci si doveva confrontare con la morte in casa. ho visto questo era al Museo d’Orsay a Parigi, è meravigliosa c’è da commuoversi

  • In effetti, avrei dovuto scrivere “il tema del morire” più che “il tema della morte”…
    Ma non c’è dubbio che, almeno stando alle fonti (https://www.lib.utexas.edu/etd/d/2005/colemand35309/colemand35309.pdf), l’opera ricevette molte critiche. Quindi, qualcosa deve aver sicuramente urtato la sensibilità dei critici dell’epoca.
    Forse, in campo artistico non si era così pronti alla morte in fotografia.
    Grazie per il tuo ottimo contributo, Aisa! 😉