Ugo Mulas: decisamente “un grande”
I motivi per cui Ugo Mulas mi interessa e mi incuriosisce tantissimo, sono almeno tre.
L’autodidatta
In primis, il suo essere completamente autodidatta.
Mulas comincia a “fare il fotografo” quasi per caso, frequentando un ambiente artisticamente vivissimo (il famigerato bar Jamaica di Milano) dove qualcuno ad un certo punto gli mette in mano un apparecchio e gli da’ qualche consiglio generico su tempo e diaframma.
Le prime fotografie hanno già un notevole contenuto. Basta vedere quella qui sopra: il netturbino nel cerchio di luce, il lampione coperto dal volto, i bastoni bianchissimi dei suoi strumenti… è molto (ma molto) più di un documento.
Possiamo insomma dire che gli ingredienti del grande fotografo Mulas sono questi: la spinta dell’istinto, una consistente dose di coraggio, l’aiuto delle condizioni al contorno (comunque da lui stesse cercate), l’assorbire come una spugna, e naturalmente il saper vedere.
Dovrebbe essere d’insegnamento anche oggi, laddove si parla praticamente solo di teoria e di tecnicismo! Uno che come lui che dichiara candidamente:
…verrebbe sicuramente massacrato su ogni forum.
Il fotografo degli artisti
La seconda cosa che mi intriga tantissimo di Mulas, è l’interesse nel documentare gli artisti: non solo quelli che aveva conosciuto al Jamaica, ma anche i grandi maestri che esponevano alla Biennale di Venezia (la documentò in tutte le edizioni dal ’54 al ’72), nonché i “guru” americani come Andy Warhol e John Cage e Marcel Duchamp (che andò a ritrarre a casa loro, negli States).
E’ abbastanza celeberrimo l’episodio del servizio fotografico all’amico Lucio Fontana mentre effettua i suoi famosi “Tagli”.
Pare che Fontana avesse qualche problema a farsi fotografare nel momento “topico” del taglio, anche perché non avveniva a comando, ma poteva essere meditato molto a lungo. (Tra l’altro, la produzione dell’opera è meno banale di quanto si possa pensare: Fontana sistemava dietro al taglio una garza nera, per dare l’impressione di profondità…)
Raggiunsero quindi un accordo, fotografo e fotografato, davanti ad una tela già tagliata:
Una scena costruita, ma estremamente realistica.
Il concettuale
Infine, e direi quasi obbligatoriamente, amo Ugo Mulas per “Le Verifiche”: il suo ultimo progetto, la fotografia che indaga su sé stessa, un approccio concettuale profondissimo che sicuramente ha beneficiato di tali e tante frequentazioni.
Mulas chiarisce che l’intento delle “Verifiche” è quello di retroagire in modo auto-riflessivo, cioè analizzare ciò che è stato operativamente fatto in precedenza ma in modo spontaneo e senza ragionare sulla pratica fotografica:
“Le Verifiche” sono divise in quattordici operazioni.
Qui ad esempio, nell’operazione numero 5, Mulas ingrandisce progressivamente il negativo:
Lo trovo davvero intrigante: le fotografie, come gli oggetti materiali, sono composte da “mattoni primari”, visibili solamente a livello microscopico.
Anche le fotografie più diverse, così come gli oggetti più diversi (vivi o meno), discendono da un’unica e grande Madre. (Che si chiami grana oppure pixel, è la stessa cosa).
Perdita
Nel 1970, a 42 anni, Ugo Mulas scopre di essere gravemente malato.
Rallenta, ma non si ferma: infatti parte delle “Verifiche” è proprio realizzata in questi anni difficili. Pubblica libri, fotografa mostre.
Purtroppo, il 2 Marzo 1973, Mulas dovrà interrompere definitivamente tutte le sue attività terrene.
Nella cronologia fotografica sul sito ugomulas.org, l’ultima è questa: il capitolo finale delle “Verifiche”.
Una grande perdita.
Viene sempre da chiedersi, in questi casi, sin dove sarebbe potuto arrivare se la sua vita non si fosse interrotta a metà!
Fortunatamente, però, ci resta la sua opera.
Ed è tanta roba.
Photo credits per tutte le immagini: ugomulas.org