Il divieto di fotografare nei musei

On 15/01/2015 by Nicola Focci

L’arte non è una cosa. E’ un modo.

(Elbert Hubbard)

Di recente sono stato in vacanza a Vienna.

La temperatura era piuttosto rigida (quasi sempre sotto zero) quindi abbiamo visitato diversi musei: l’Hofburg, Il Belvedere, Schönbrunn, e il museo d’arte moderna Mumok.

Con l’eccezione di quest’ultimo, in tutti gli altri era vietato fotografare. La regola veniva fatta rispettare in modo assai rigido (direi “austriaco”) dagli addetti, che riprendevano in turisti alquanto bruscamente: quando non era un versaccio, era la mano davanti all’obiettivo.

Non è una novità, certo. Un medesimo divieto l’ho trovato in altri posti; ad esempio negli splendidi palazzi dei Romanoff a San Pietroburgo, oppure nella bellissima cattedrale di Gand (cito le prime due cose che mi vengono in mente).

I musei d’arte tradizionale – quelli che Marcel Duchamp definirebbe ”retinica” – tendo a frequentarli di meno; eppure ho l’impressione che questo divieto sia alquanto diffuso. Forse c’è maggiore tolleranza in quelli di arte moderna e contemporanea (al MoMA di New York, per esempio, si poteva fotografare senza alcun problema),

New York, MoMA, Agosto 2010

Sta di fatto che la cosa mi ha lasciato un po’ perplesso. Avrei sicuramente preferito fare fotografie… anche se, come solito, sono più interessato a ritrarre le situazioni di “interazione” con le opere d’arte, che non le opere d’arte medesime.

Proteggere le opere?

In questi casi mi domando sempre, però, se le ragioni di questo divieto siano davvero fondate.

Viene spontaneo pensare che si tratti di una misura precauzionale nei confronti delle opere. Non sono un esperto, ma immagino che la luce dei flash possa danneggiare gli antichi dipinti (ma… e le sculture?).

Certo, in questi casi basterebbe proibirne l’uso: infondo oggi le fotocamere digitali permettono di usare valori di sensibilità molto elevata, del flash si può anche fare senza, entro certi limiti.

Però sappiamo come sono fatti certi turisti: è facile che il divieto sia bellamente ignorato.

E allora tanto vale proibire del tutto l’uso delle fotocamere, e fine della fiera.

Proteggere gli investimenti!

Ma siamo davvero sicuri che sia “per il bene delle opere”?

No, perché di recente ho letto un articolo sul divieto di fotografare nella Cappella Sistina, e qui le cose stanno in maniera molto diversa.

Pare che il divieto fosse stato inizialmente istituito per tutelare la compagnia giapponese Nippon TV, che aveva finanziato il restauro sborsando qualcosa come 4 milioni di dollari (degli anni ’90), ottenendo in cambio il pieno possesso dei diritti foto e video. Solo gli incaricati di Nippon TV potevano effettuare riprese video o fotografiche degli affreschi.

Sta di fatto che questo diritto è ormai scaduto da tempo (almeno per i fotografi non professionisti), ma il divieto permane, come chiaramente indicato dai cartelli in loco. Motivo? Pare sia questo: siccome non sarebbe sempre facile distinguere il turista dal professionista, s’è lasciato tutto com’era. Molto più semplice così.

Tornando a bomba, si direbbe quindi che il fotografare di per sé non crei particolari danni agli affreschi. Sembra anzi che sia stato molto più dannoso il restauro, perché la rimozione dello strato di nerofumo e sedimenti vari avrebbe finito per togliere quella protezione secolare che isolava l’opera da umidità, polvere, batteri.

San Pietroburgo, Hermitage, Agosto 2011

Il senso della foto nel museo

Al di fuori dei casi patologici e non interessati alle opere come quello rappresentato dal sottoscritto, io non trovo poi così disdicevole il fatto che un turista voglia portarsi a casa la fotografia della “Gioconda” (se ci riesce, vista la calca).

Sì, lo so: è ridicolo vedere la folla – perlopiù orientale – che si precipita a fotografare tutto quello che vede, manco si trattasse dell’assassino di Kennedy che tiene una conferenza stampa. Del resto, non otterrebbero mai immagini di qualità paragonabile a quella che si trova nei poster del famigerato museum shop.

Io però, per forma mentis, cerco sempre di rispettare tutte le forme di impiego della fotografia, anche se non le condivido o non le pratico. Dunque non capisco perché negare alle persone il diritto a portarsi dietro una memoria. La fotografia è uno strumento molto potente anche quando si tratta di congelare i ricordi, giusto? E allora magari un domani posso rivedere la foto della “Gioconda” col mio amico che alza il pollice, e addentare una ipotetica medeleine proustiana dove rivivo quel momento e riporto alla memoria tutte le sensazioni ad esso connesse.

Che c’è di male? Se nel farlo non smeriglio le gonadi di chi vuole gustarsi in santa pace l’opera e/o non riempio ossessivamente tutti i social newtork con questa foto (perché a quel punto si tratta di esibizionismo), che c’è di male?

Spegnere sigarette su Klimt

Sta di fatto che i divieti restano… e per motivi puramente commerciali, come dimostra il caso della Sistina. Se faccio foto, di sicuro non compro il patinato catalogo venduto a peso d’oro nel museum shop (e strategicamente posto a fine percorso).

Londra, Tate Modern, Settembre 2012

La cosa però mi mette un po’ di tristezza. Questa estrema mercificazione dell’arte anche dentro ai musei, voglio dire.

Al Belvedere era in corso una retrospettiva di Klimt. Naturalmente era vietatissimo fotografare, anche se qualche orientale ardimentoso ci provava (finendo per essere seccamente sgridato). Ma quando arrivavi al negozio del museo, ecco che ti ritrovavi il famosissimo “Bacio” praticamente ovunque: su un posacenere, su una tazza, su un foulard, su una scatola di cioccolatini, su una custodia per l’iPhone…

Sono quasi sicuro che Klimt, se fosse in vita oggi, preferirebbe le fotografie del turisti al posacenere! E sono sicuro che questi divieti non facciano per nulla bene all’arte. Che deve essere necessariamente “cablata” ai nostri ricordi ed al nostro immaginario… altrimenti diventa una pura mercanzia che dura lo spazio del prossimo cellulare acquistato.

Continuerò ad obbedire a tali divieti, ma di certo non posso portarvi rispetto… 😡

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