Hasselblad SWC

On 07/04/2020 by Nicola Focci

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Uno strano satellite svedese orbita intorno alla Terra dal Giugno 1966.

In vetro e metallo, è un pregiato prodotto di ingegneria meccanica; ma non trasmette nulla, e non dovrebbe nemmeno trovarsi lì.

È la Hasselblad SWC che l’astronauta Michael Collins perse durante la sua passeggiata extraveicolare nel corso della missione Gemini XSembra che Collins abbia esclamato qualcosa più colorito di “Che disdetta!”… e stante le quotazioni di questa fotocamera, ne aveva ben donde!

Prezzi assurdi

Sulla carta, ci sarebbero gli estremi per non volere una Hasselblad SWC nel proprio arsenale:

  • Ha prezzi che nemmeno fosse rivestita in pelle di Panda (difficile portarla via per meno di 2000 euro, anche se malridotta).
  • Non ha esposimetro.
  • Non ha sistemi di messa a fuoco (niente reflex, niente telemetro, niente di niente).
  • Il mirino, galileiano ed esterno, è “indicativo” (per usare un eufemismo).
  • L’ottica non è intercambiabile.
  • L’esperienza d’uso non è delle migliori (vedi sotto).

Eppure…

Il Biogon

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Sua Maestà il Biogon 38.

Tutto ruota intorno all’ottica: Zeiss Biogon 38/4.5.

Dotato di un angolo campo di 90 gradi, corrisponde (sul 6×6) circa ad un 21 mm per il formato 35mm; dunque, è un grandangolare abbastanza spinto.

Non a caso, “SWC” sta proprio per “Super Wide Camera“.

Il Biogon fu progettato per scopi di fotogrammetria aerea nel 1951 da Ludwig Bertele (l’inventore del Sonnar), e ingegnerizzato in maniera quasi perfetta sin da subito, tanto che è cambiato pochissimo da allora.

Le caratteristiche ampiamente riconosciute del Biogon 38 sono la risoluzione elevatissima, e la distorsione davvero minimale.

L’utilizzo negli ambiti e settori più vari (incluso, come abbiamo visto, quello spaziale), unitamente alle predette caratteristiche, gli hanno conferito la fama di “grandangolare perfetto”.

Queste caratteristiche ideali hanno però un prezzo: l’estrema vicinanza dell’elemento posteriore al piano focale (appena 18mm). Ciò lo rende non utilizzabile su apparecchi che presentano specchi ribaltabili, come dimostrano le caratteristiche “minimali” di quello svedese qui in recensione.

Per ulteriori dettagli sul Biogon e le sue caratteristiche, consiglio l’ottima pagina sul sito di Marco Cavina da cui ho preso io stesso spunto.

Le caratteristiche della macchina

Il mirino della SWC

Ecco cosa si vede accostando l’occhio al mirino. Notare la livella, la distorsione, le cornicette, il barilotto.

In breve, ecco le caratteristiche della Hasselblad SWC (ovviamente riferendomi al modello in mio possesso).

  • L’otturatore è centrale, con tempi da 1s a 1/500s. Synchro-X flash su tutti.
  • Diaframmi da f/4.5 a f/22, con passi di mezzo stop.
  • La macchina può montare tutti i tipi di dorsi e magazzini intercambiabili Hasselblad (inlcuso l’accessorio con vetro smerigliato, per una messa a fuoco precisa).
  • La messa a fuoco si effettua a stima “lavorando” di iperfocale ed aiutandosi con i contrassegni riportati sul barilotto del Biogon (oppure usando il predetto accessorio).
  • Come detto, l’obiettivo è fisso. Diametro filtri: 60.
  • Il pulsante di scatto è collocato sul lato superiore destro. È dotato della usuale filettatura per il comando flessibile, e presenta un comando per la posa T (quello per la posa B è sul barilotto).
  • L’autoscatto è assente (è presente solo sui modelli antecedenti il 1982).
  • Il fondo dell’apparecchio riporta solo una piccola piastra sulla quale è collocato l’attacco filettato per il treppiede.
  • Sulla sommità del mirino (ovvero sul corpo macchina nei modelli più datati) è presente una comoda livella a bolla circolare.
  • Nel mirino – innestato al corpo per mezzo di una slitta – non è presente alcuna informazione. Solo un piccolo cerchio corrispondente al centro dell’immagine, e – abbastanza inspiegabilmente – cornicette relative al campo coperto dalla pellicola nel magazzino Hasselblad 16S ossia 41.5 x 41.5 mm. Non bisogna farsi ingannare pensando che queste cornicette rappresentino il campo inquadrato per il 6×6!
  • L’apparecchio non necessita ovviamente di batterie perché interamente meccanico.

L’Hasselblad SWC fu commercializzata a partire dal 1954, subendo modifiche non sostanziali da allora. La casa svedese ha cambiato l’otturatore e variato la disposizione dei comandi, ma la filosofia di fondo dell’apparecchio (e l’ottica) sono rimaste sostanzialmente le stesse.

L’esperienza d’uso

La SWC è “tutta obiettivo”, nel senso che è quasi impossibile impugnarla senza “aggrapparsi” all’ottica (come si vede anche dalla foto a inizio articolo). Inizialmente si corre quindi il rischio di modificare la messa a fuoco ruotandone inavvertitamente la ghiera (e il mirino ovviamente non dà alcuna informazione in tal senso).

Il pulsante di scatto è anche abbastanza morbido, ma fa “click” sia quando lo si preme sia quando lo si rilascia. Una sensazione inquietante: sembra quasi di stare sempre in posa B! Oltre tutto, questo doppio “click” è piuttosto rumoroso… almeno se paragonato a quello della Rolleiflex, anch’essa dotata di otturatore centrale.

Il mirino mostra un campo distorto, cosa che – come abbiamo scritto – il Biogon non cattura; quindi non è molto fedele. Oltre tutto, tale campo è occupato per un quinto da ottica e paraluce!

Insomma, l’esperienza d’uso non è delle più piacevoli!

Tra gli aspetti però positivi:

  • L’apparecchio non è eccessivamente pesante (circa 1.3 kg, s’è sentito di peggio).
  • Il tanto bistrattato mirino esterno ha alcuni vantaggi:
    • si vedono i tempi ed i diaframmi impostati sul barilotto;
    • si vede la livella;
    • è perfettamente fungibile da chi (come me) porta gli occhiali.
  • Le ghiere di tempi e diaframmi possono essere bloccate (agendo su un piccolo tasto) sincronizzandole così rispetto alla scala EV serigrafata sul barilotto; utile con quegli esposimetri che forniscono la lettura in EV, come il mio Gossen Lunasix 3.
  • La messa a fuoco a stima è agevolata dalla notevole profondità di campo garantita dal Biogon 38mm. Ad f/11, per esempio, la zona a fuoco va da circa 1.2 metri all’infinito.
  • L’angolo di campo di 90 gradi permette di scattare foto con discrezione, ad esempio appoggiando l’apparecchio sulle ginocchia. (Tanto, come detto, il mirino è indicativo!).

La mia SWC “zoppa”

La SWC con il magazzino A12 rimosso.

La SWC con il magazzino A12 rimosso.

Per la mia Hasselblad SWC, ho speso un po’ meno della quotazione ufficiale.

Motivo: un piccolo ma visibile graffio sulla lente frontale dell’obiettivo, peraltro piuttosto periferico.

Confesso che questo graffio mi aveva messo un po’ di ansia… tanto che col venditore raggiunsi un accordo: avrei scattato alcuni rullini e, se la resa non mi avesse soddisfatto, avrei restituito l’apparecchio ottenendo indietro i soldi spesi. Fortunatamente, non è stato necessario farlo.

Ho portato con me questo gioiello in Valle d’Aosta, trovando alcune difficoltà a “prenderci la mano” (l’ho scritto, è una macchina impegnativa e richiede… applicazione); ma non potevo non condividere gli scatti – per quanto io ne sia relativamente soddisfatto.

E il “satellite SWC”?

È ancora lì, in orbita geostazionaria intorno alla terra.

Su Quora c’è persino qualcuno che si chiede se la pellicola sarebbe ancora sviluppabile!

Geniale fu, comunque, il commento di Victor Hasselblad quando seppe dell’incidente:

Il tipo di ancoraggio della fotocamera non era di nostra produzione.

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