La fotografia golosa
Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all’anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: – Roba mia, vientene con me!
(Giovanni Verga, “La Roba”)
Qualche tempo fa chiacchieravo con un mio amico, anche lui molto “preso” dalla fotografia.
Si parlava di scatti in notturna, alla sola luce della Luna e senza “inquinamenti cittadini”. E si ragionava su un ponte che conosciamo bene entrambi: una sottile striscia di metallo sospesa sul fiume in aperta campagna, risalente al Ventennio, e di certo molto suggestiva quando illuminata dal solo satellite.
Gli facevo però notare che sulle due campate del ponte sono sistemate un paio di luci alogene molto potenti. In foto, finirebbero per vedersi solo quelle… “bruciando” tutto.
La sua risposta mi ha un po’ spiazzato:
<<Ci ho già pensato ed ho due opzioni!>> mi fa, <<la prima: vado alla derivazione elettrica e taglio il filo; la seconda, sfondo le luci con una sassata! Poi vedrai, che foto faccio!>>.
Ho cercato di riflettere su questa idea da un punto di vista fotografico. Perché è chiaro che, da tutti gli altri punti di vista, è da condannare: non solo è illegale, ma è anche pericoloso, dato che costringerebbe gli automobilisti a percorrere un ponte molto stretto al buio.
Ma… e fotograficamente, cosa mi sento di poter dire?
M’è venuto in mente quando, a New York, entrai da Rice to Riches: la Mecca del pudding di riso. Io sono golosissimo di dolci, al punto che a volte per la “fotta” di mangiarli nemmeno me li gusto… e io quei pudding li avrei provati tutti, sino a scoppiare! Ne scelsi a malincuore solo uno (al tiramisù) e mi godetti il mio orgasmo alimentare.
Solo che poi, in realtà, io non ho una passione per il pudding di riso. La questione finì lì: ho soddisfatto un bisogno se vogliamo “animalesco”, e basta. Non c’è stato e non ci sarà mai dell’altro.
Ecco quindi che, a mio parere, quella del mio amico è un tipo di “fotografia golosa”. Quel genere di fotografia trainata quasi solo dalla voglia di possedere quello scatto, di farlo finire nella fotocamera… costi quello che costi, anche sfondando un lampione se serve, e anche se in palio non c’è nulla, anche se non sarà un capolavoro. Magari tra un anno finisce nel dimenticatoio dell’hard disk… però bisogna assolutamente farla.
C’è qualcosa di sbagliato (a parte il già citato reato) in questo modo di interpretare la fotografia? No, direi di no. Il mondo ed i significati della fotografia sono così vasti, che ciascuno è libero di scegliersi e ritagliarsi addosso quello che preferisce. Secondo me, in questo atteggiamento ci siamo cascati un po’ tutti (quello di “dover avere” quella foto, intendo, non certo sfondare lampioni!).
Però credo che esso – se si ferma qui – sia un modo per negare ciò di sé che va al di là del puro possedere. E’ come affermare che, nella propria arte, c’è solo quello. Che la nostra fotografia è solo un modo per appropriarsi del momento.
Manca invece l’aspetto (secondo me fondamentale) dell’utilizzarla non già come piatto da portata ma come strumento per comunicare, per esprimere qualcosa, per mandare un messaggio, per dire “questo sono io”. Rendendola, così, in qualche modo immortale… perché va ben oltre il momento catturato.
Il rischio è di finire come il sottoscritto quando è schiavo dei dolci – nel senso che non resiste alla tentazione – ossia quello di diventare succube a un certo tipo di fotografia, restare confinati a quell’ambito lì senza riuscire a liberarsene.
Insomma, non mi sentirei di dire che la “fotografia golosa” è artisticamente sbagliata. Ma che sia pericolosa, beh, sicuramente sì.
È un problema che si affaccia spesso nelle fotografie ad animali: alle volte, c’è chi per ottenere un bello scatto non esita a maltrattare o uccidere l’animale fotografato (ad esempio, ferendolo e mettendolo vicino a un predatore, solo per poter fotografare la cattura).
Famoso è il caso della Disney, che per girare un documentario aveva fatto annegare migliaia di lemming.
Certo, dubito che chi leggerà questo commento ucciderebbe, ad esempio, una volpe, o una lepre, o un cerbiatto, solo per fare una foto più bella… ma se il soggetto fosse un insetto (ad esempio una farfalla, o una libellula), già molti non si farebbero scrupoli a maltrattarlo.
L’etica del fotografo naturalista implica che il benessere dell’animale ripreso è sempre più importante della qualità dello scatto, e che piuttosto che comprometterlo è meglio rinunciare allo scatto.
Ma questo concetto vale per tutto, non solo per gli organismi viventi: non si ha il diritto, in nome della fotografia, di danneggiare in alcun modo il soggetto ripreso; anzi, bisognerebbe assicurarsi di alterare il soggetto il meno possibile: se vuoi fare la foto del ponte, lo devi fotografare così com’è (incluse le luci elettriche), non come vorresti che fosse; altrimenti, non stai più rappresentando la realtà, ma una tua interpretazione: ed allora, tanto vale fare un disegno.
Temo anche io… 🙁
Di per sé non ci sarebbe nulla di male a voler interpretare la realtà anziché rappresentarla: è poi la stessa differenza che c’era tra i due “amiconi” del gruppo f/64, Edward Weston ed Ansel Adams. Due maestri assoluti, nei loro ambiti.
Credo però che, a prescindere da tutto, sia importante avere una “finalità artistica” e non solo “possessiva”.
Parlando di fotografie notturne di ponti, ti segnalo questa:
http://www.meggaflash.com/images/meggaflash//gallery2/TrainSustutRiverCrossing%201.jpg
Sono riusciti a fare una foto notturna così rapida da mostrare non solo il ponte, ma anche il treno che ci passava sopra!
Per farlo, hanno usato un flash a bulbo, progettato per la fotografia in grotta, e talmente potente da illuminare un oggetto delle dimensioni di un treno.
Con un affare del genere, non dovrebbero esserci problemi a fotografare un ponte, anche se illuminato dalle luci alogene; attenzione a non farlo mentre ci sono delle auto sopra, perchè i guidatori potrebbero esserne abbagliati e uscire di strada.