L’insegnamento della fototessera

On 03/06/2013 by Nicola Focci

Valencia, Plaza de la Virgen, Giugno 2012

Amo Twitter (almeno quanto odio Facebook) perché sa essere vero e proprio cibo per la mente. Anche nei tweet che apparentemente sembrano semplici osservazioni di vita più o meno quotidiana, ma che a modo loro aprono un mondo.

Qualche tempo fa ne ho letto uno di Antonella, che si chiedeva come mai nelle fototessere rendessimo sempre da schifo.

Si tratta di un’osservazione ironica, ma assolutamente vera. Provate a dire il contrario! Di solito il commento principale, maneggiando il “quadrotto” di fototessera appena uscito dalla macchinetta o consegnato dal fotografo, è: mamma mia, che faccia ho fatto!

Lo ammetto tranquillamente: se guardo la foto della mia carta di identità – visibile nella mia pagina “Info”  per scelta tutt’altro che casuale –  giungo alla stessa conclusione: la testa inclinata, i capelli spettinati, lo sguardo della mucca quando passa il treno, un mezzo sorrisetto ebete… Dài, quello lì non sono davvero io! Manco gli somiglio!

A ben pensarci – e torno alla riflessione di Antonella – non credo di averne mai avuta una, di fototessere che mi piacessero. Nemmeno quando avevo vent’anni. Dico di più: sono quasi sicuro che, ne facessi un’altra adesso, sarebbe sempre insoddisfacente.

La mia preoccupazione nasce, forse, dal fatto che questa fotografia è posta su un documento, e quindi verrà vista da tante persone. E tante persone si faranno l’idea che io sia, in realtà, spento e vuoto come quella immagine.

Dietro a questa semplice osservazione c’è in realtà, ed a mio parere, una riflessione fotografica piuttosto profonda. E’ innescata da una citazione di Ferdinando Scianna (un fotografo che io ammiro quasi più per quello che scrive che per quello che fotografa) e sulla quale ho già scritto, ma che merita di essere ribadita:

La fotografia mostra, la fotografia non dimostra.

Spiega meglio (in “Etica e Fotogiornalismo”, Mondadori Electa) ancora Scianna:

Quello che dobbiamo sapere è che la fotografia, come tutti i linguaggi, va presa con le pinze, che non può essere in sé prova e dimostrazione di alcunché, perché quello che prova è quello che mostra, non quello che significa.

La mia fototessera è quindi, sostanzialmente un “mostrare” come mi ero posto in quello specifico istante (di frazioni di secondo) di fronte all’apparecchio, e non “dimostra” quasi nulla di ciò che in realtà sono. Non lo dimostrerà mai, non potrà farlo mai.

Dunque rassegniamoci: non avremo mai nostri ritratti fotografici pienamente soddisfacenti!

Ma il lato positivo della medaglia, è che questa conclusione apre la porta sul magnifico mondo dell’interpretazione della fotografia… che è poi ciò che la rende speciale e unica. Un’immagine che mostra ma non dimostra è come una sceneggiatura infinita dove ciascuno può scrivere il proprio copione.

Un po’ come nel caso di “Madre Migrante”. Cosa esprime lo sguardo della donna?, preoccupazione?, determinazione?, entrambe le cose?, altro ancora? Non lo sappiamo con certezza… Ed è questo il bello.


Post Scriptum – La fotografia “dimostra”, forse, solo quando è sequenza. A questo proposito, lascio a voi la lettura di questo interessante articolo.


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