Credo che…
Credo che per essere artisti bisogna prima di tutto avere voglia di dire qualcosa, e il coraggio di dirla forte.
Credo che la tecnologia digitale abbia facilitato le cose per chi aveva già una propria visione, e le abbia complicate per chi invece non ce l’aveva.
Credo che il proprio stile non si possa affrettare, ma bisogna aspettarlo. Per questo credo che bisogna mettersi sotto con tanta, tanta, tanta pratica.
Credo che debbano esistere “preferenze”, e non “modelli di riferimento”.
Credo che il cestino dell’immondizia (sia esso reale o virtuale cioè sul PC) sia uno strumento fondamentale per chi fa fotografia.
Credo che la propria autostima vada costruita nel mondo reale e non in quello virtuale dei social network.
Credo che tenersi tutto per sé e non condividere, sia un grande segno di debolezza.
Credo che la lingua italiana vada sempre rispettata, se non altro per un motivo utilitaristico: il modo con cui si comunica a volte vale più di ciò che si comunica.
Credo che spesso l’arte nasca dal disagio, e che ciò vada accettato, possibilmente anche sfruttato.
Credo che la tecnica e le regole vadano imparate solo per poi automatizzarle e usarle quando servono.
Credo che a volte il “blocco dell’artista” altro non sia se non una zona di conforto, per la paura di esporsi.
Credo che una stampa fisica sia impagabilmente necessaria per valutare il proprio operato.
Credo che non ci si possa lamentare delle proprie foto rubate su Facebook, se non si legge quello che si sottoscrive.
Credo che Edward Weston avesse tutte le ragioni del mondo a dire “in fotografia non esistono scorciatoie”, ma credo anche che sia poi facile dirlo quando si è Edward Weston.
Credo che “fotografo” non implichi necessariamente “professionista”, e che questa associazione sia sinceramente un po’ classista.
Credo che ci siano moltissime affinità tra fotografia e meccanica quantistica, e che tutti i fotografi dovrebbero conoscere il Principio di Indeterminazione.
Credo che per imparare bene, bisogna prima di tutto sbagliare tanto.
Credo che innamorarsi di una o più propria fotografia, sia un errore molto pericoloso. Per questo credo che bisogna imparare a valutare il proprio lavoro nella maniera più oggettiva possibile.
Credo che non farei mai per passione quello che faccio di lavoro, e non farei mai di lavoro quello che faccio per passione.
Credo che le nostre fotografie dovrebbero per prima cosa comunicare: “questo sono io”.