L’analogico non è un terno al Lotto
Sarà per l’innato senso “di appartenenza ad una tribù” che è scolpito nel nostro DNA, ma noi esseri umani non riusciamo proprio ad evitare di scannarci per il campanile. E questo in tutti i campi: dalla politica allo sport, passando per la musica e ovviamente anche la fotografia.
Vorrei evitare di infilarmi anche io nell’ennesima diatriba tra digitale ed analogico (avremmo già dato, su questi schermi) però di recente m’è saltato all’occhio un concetto che trovo profondamente sbagliato, e non potevo non scriverne. L’ho incontrato due volte e da fonti piuttosto diverse, quindi comincio a sospettare che sia alquanto diffuso.
Prima qui, in questo articolo di Randall Armor su Petapixel (la traduzione è mia, il grassetto pure):
E poi qui, sul blog di Settimio Benedusi, che di solito non leggo, ma l’ho trovato su Facebook e mi ha incuriosito (il grassetto è sempre mio):
“Si tratta di indovinare”, “Non verificare cosa si sta realizzando”, “Dobbiamo conservare la speranza”…
… ma siamo matti? 🙁
Ognuno è libero di pensarla come vuole, e io sono quindi libero di indignarmi quando passa questa idea che scattare con la pellicola significa non sapere cosa salterà fuori. Dài, non scherziamo! Possibile che, di cento e più anni di storia della fotografia chimica, la vulgata prenda in considerazione solo l’aspetto del caso e della serendipità?
- Altrimenti, vorrebbe dire che i grandi capolavori “analogici” del passato sono frutto di puro fondoschiena.
- Altrimenti, vorrebbe dire che maestri come Mimmo Jodice o Minor White (giusto per fare i nomi a me più cari) non sanno quello che fanno o comunque non possiedono alcuna certezza del risultato finale.
- Altrimenti, vorrebbe dire che l’intenzione viene completamente stralciata dal processo di ottenimento della fotografia. Mentre a me invece pare che l’assenza di essa (di intenzione, appunto) sia proprio il male peggiore del digitale: “paginate” di immagini su Flickr che non hanno un senso, dietro alle quali c’è il vuoto cosmico… anche se tecnicamente sono impeccabili.
Non so da dove derivi questa idea (e mi rammarica che a propagandarla non siano “nativi digitali”, ma persone che con la pellicola ci son cresciute). Sta di fatto che la trovo profondamente sbagliata e fuorviante.
Ed avrei molto da ridire anche sul “la nostra macchina fotografica [digitale] ci dice esattamente quello che abbiamo appena fatto”: e dove? Su uno schermo minuscolo?, magari con la luce del sole che vi batte sopra?, senza alcun intervento di post-produzione? Questo sarebbe un “dire esattamente“?
Comunque, resto della mia idea: dell’analogico si può dire tutto e il contrario di tutto, ma non che sia un terno al Lotto.
Concordo. Il fotografo professionista della fotografia tradizionale, basata sulla chimica e non sull’elettronica, sa ciò che uscirà dalle proprie foto. Lo sapevo pure io che mai son stato professionista e mai lo sarò.
Forse gli si potrebbe concedere che, per cercare qualcosa che andasse ‘oltre’, spinto dalla creatività, abbia abbandonato i crismi di quel tipo di fotografia per sperimentare effetti indeterminati, cercare l’errore a posta, aggiungere una variabile ignota al ‘tutto noto’, per vedere cosa accade. Scelte comunque consapevoli, e comunque in un qualche modo ponderate (immagino che comunque un’idea di ciò che potrebbe accadere il fotografo ce l’ha). Ora non ricordo il nome (la vecchiaia galoppa), qualche tempo fa son stato a una mostra fotografica di un noto artista della fotografia, e un piano della mostra era dedicato ai suoi esperimenti sulla pellicola, tra cui, in alcuni casi aveva versato un acido sul negativo prima di sviluppare le foto.
Sì, esatto!
La serendipità ha sempre avuto un ruolo importante nella storia della fotografia, e non si può negare: mi viene in mente l’episodio di Man Ray, che scopre la solarizzazione per caso quando la sua compagna – spaventata per la presenza di un topo in camera oscura – accende la luce durante uno sviluppo…
Un conto, però, è l’eccezionalità e/o (come dici tu) la ponderatezza.
Un altro è supporre che la fotografia analogica sia sempre e solo una questione di “non sai quello che viene”… Quasi come se fosse “più difficile” (e quindi in qualche modo “meritevole”) solo perché non controllabile. A mio parere si tratta di un falso mito.
Interessante. Avevo letto anche io quel passo di Benedussi ma non lo avevo analizzato sotto questo punto di vista. Per altro il tuo post arriva dopo una mia breve intervista ad un fotografo (Ivo Saglietti) che parla proprio di un aspetto simile dal momento che lui scatta a pellicola e che ti invito ad ascoltare. In realtà chi scatta a pellicola può avere, diciamo, un’ “incertezza” determinata dal tempo che intercorre fra scatto e sviluppo ma solo su aspetti tecnici: la fotografia per sua natura è riproducibilità e pertanto esclude la casualità. L’unico dubbio che assale il fotografo può essere quello se la foto sia passabile o meno nel momento in cui ha commesso un errore….. Ma questo vale anche per il fotografo digitale: provate a spegnere il monitor della macchina e rivedere le foto solo nel momento dello scarico. Nella mia intervista Saglietti racconta un anedotto in cui dice di aver scattato con 1/8 ed esser rimasto angosciato perché il tempo era troppo breve, ma di certo non sulla foto in se, era ragionevolmente preoccupato del mosso o dell’esposizione al pari di chi avesse fatto quello scatto con una digitale sotto quelle stesse condizioni. E alla fine aggiunge un concetto importante: che la luce deve fare ciò che noi vogliamo, la fotografia non è casualità.
Grazie del contributo, Domenico! Corro senz’altro ad ascoltare l’intervista… 😉
Certo che è un mondo strano. Sto pensando a H.C.Bresson, R.Frank, S.Leiter, V. Maier, A.Adams, ecc che hanno trascorso la loro vita ad …. indovinare.
😀
Devo dire che nell’articolo di Benedusi non ci leggo un riferimento alla casualità, ma piuttosto alla concentrazione sulla fotografia, senza la distrazione del monitor. In effetti i professionisti in studio guardano immediatamente le foto su uno schermo, le analizzano a fondo e nel caso rifanno subito lo scatto … in questo caso Benedusi ha scelto di giocare “senza rete di protezione”.
Sull’articolo di Randall Armor…è una replica (un po’ sterile) a un altro articolo “pro pellicola” (un po’ sterile pure lui)… in cui, effettivamente, si parla di casualità dei risultati come punto di forza della pellicola. Questo è un punto di vista di un certa scuola di pensiero “lomo”, molto criticata dai pellicolari che ricercano rigorosità e ripetibilità dei risultati.
Spero che Randal Armor avesse in mente la lomografia e non la fotografia a pellicola in generale…
Lo sapevoooo ,me lo dicono sempre i miei amici che fotografano in digitale ………….sei uno sfigato Albè che fai ancora con la pellicola …….lo sapevo è solo sfiga ,e io che pensavo fosse una questione di tempi e diaframmi ,ma volevo chiedere lumi
1) posso fotografare anche di venerdì 17 o è meglio evitare ?
2) se mi attraversa la strada un gatto nero ,devo far passare 7/8 giorni o bastano 2 prima di iniziare a prendere in mano la mia analogica
3) ho sentito dire che buttando un pizzico di sale dietro la schiena prima a sinistra poi a destra prima di ogni scatto ,da una miglior dettaglio ,pero’ penso che queste siano credenze popolari …..in attesa di essere illuminato …………direi che …….me ne fotto (si potra’ scrivere?) e continuo e,sai il perchè amico mio ………………….amo il suono del clic delle mie analogiche
un abbraccio ai sali d’argento …………..;)