La fotografia nelle gallerie d’arte non funziona?
La scorsa settimana è uscito questo articolo di Jonathan Jones su “The Guardian” dal titolo: “Piatte, senza anima, e stupide: ecco perché le fotografie non funzionano nelle gallerie d’arte“.
L’autore, come suol dirsi, la tocca piano (la traduzione è mia):
E’ semplicemente stupido incorniciare o retro-illuminare una fotografia e mostrarla verticalmente in una mostra, analogamente a quanto si fa tradizionalmente con i quadri. Una fotografia in una galleria è un surrogato piatto, senz’anima, e superficiale della pittura. Riempire le pareti di stampe è uno spreco di spazio: i curatori potrebbero mettere a disposizione degli iPad, e lasciarci scorrere le gallerie digitali, che sarebbero tranquillamente più belle ed avvincenti di costose stampe.
Poi prosegue:
I dipinti vengono realizzati impiegando tempo e difficoltà, complessità materiale, profondità testuale, talento e abilità, immaginazione e “consapevolezza” Un buon dipinto è un oggetto ricco e vigoroso. Una fotografia, per quanto ben illuminata, per quanto abilmente mostrata, possiede uno solo strato di contenuto. E’ tutto lì, sulla superficie. Lo vedi, l’hai capito. E’ assurdo pretendere che questa rapida impressione di luce abbia la medesima profondità, anima, o ripaghi quanto guardare un dipinto di Caravaggio – giusto per citare un pittore che tanti fotografi imitano.
Ovviamente non sono d’accordo!
Nei commenti (ben 385 prima che li chiudessero, e quasi tutti negativi) qualcuno ha scritto che è roba da diatribe degli anni ’50-’60; e questo è un fatto. Che la fotografia si sia ritagliata un chiaro e meritatissimo spazio nelle gallerie d’arte, funzionando eccome, è assodato.
Però questo tipo di polemica nasce sempre dal confronto di mondi molto diversi, laddove ragionare in termini assoluti diventa pericoloso. E’ come dire che la musica classica è migliore della musica jazz. In che senso? Non è, alla fine della fiera, questione di gusto? Tra un brano di musica dodecafonica e uno di John Coltrane, io – personalmente – preferisco di gran lunga il secondo! Ma non discuto certo chi pensa il contrario…
Pittura e fotografia, per quanto mi riguarda, sono sottoinsiemi disgiunti appartenenti all’insieme “Arte”, nel senso che sono mezzi artistici molto diversi e non paragonabili.
Anche la fotografia però, se fatta con serietà ed intenzionalità, esige il suo tributo in termini di “tempo, difficoltà, complessità materiale, profondità testuale, talento, abilità, immaginazione e consapevolezza”. Eccome, se lo esige! Basta partecipare a una visita guidata (o semplicemente informarsi prima di andare alla mostra) e dedicare alle fotografie il tempo che meritano, per capire che dietro a quell’unico livello apparente ce ne sono tantissimi.
“Lo vedi, l’hai capito” un accidente!
Che poi a volte la fotografia fine art soffra per (o venga depressa dalla) mancata cura dell’esposizione stessa, questo è indubbio.
E’ chiaro infatti che un’esposizione raffazzonata nuoce alle fotografie stesse: stampe di aspetto economico, stampe con difetti non corretti (spuntinatura carente o rumore digitale evidente), cornici non idonee, passepartout scadenti, illuminazione pessima, eccetera.
Io stesso, nel mio piccolo, ho cercato di curare al meglio tutte le fasi di preparazione della mia mostra; spremendo al massimo il mio budget, e senza compromessi in termini di tempo e sudore e qualità (e fegato)… consapevole che la mia mostra stessa ne avrebbe altrimenti risentito.
Questo però non ha nulla a che fare con la dignità delle fotografie nelle gallerie d’arte.
Non conosco Jonathan Jones, ma penso che abbia proprio preso una colossale cantonata.